8 dicembre 2011

Le eroine del risorgimento italiano

Di Maria Chiara Forcella,
Psicologa, Psicoterapeuta e Poetessa

Come in molte altre situazioni storiche il contributo delle donne nel risorgimento è stato riscoperto da poco, infatti, quando pensiamo al risorgimento alla mente, ci vengono i nomi di Garibaldi, Cavour, Mazzini, Vittorio Emanuele II ma difficilmente immaginiamo la rete importante e sotterranea costruita dalle donne durante questo periodo.

La maggior parte delle donne che hanno partecipato attivamente al risorgimento apparteneva alla medio alta aristocrazia italiana, alcune queste, appartenenti a tutte le regioni dell’Italia del nord, del centro e del sud, erano già poetesse o scrittrici affermate; cito quelle più conosciute per la loro fede:
Erminia Fuà Fucinato, Diodata Saluzzo di Roero, Matilde Joannini, Sophia Sassernò, Adele Curti, Giulia Molino Colombini, Ottavia Mombello di Masino, Giannina Milli, Vittoria Berti Madurelli, Massimina Fantastici Rosellini, Maria Alinda Bonacci Brunamonti, Anna Miliani Vallemani, Maria Guacci, Mariannina Coffa Caruso, Giuseppina Turrisi Colonna, Cristina Archinto Trivulzio, Irene Ricciardi.
Altre donne del popolo che si vestivano da uomo per partecipare all’impresa dei Mille, scendevano in piazza durante le Cinque giornate di Milano o durante altri moti patriottici di liberazione dagli stranieri e rischiavano la vita passando il confine per portare in mezzo alle loro capigliature messaggi cifrati rimarranno per sempre sconosciute ma oggi sappiamo, grazie al lavoro degli storici, che hanno dato un grande contributo all’unità d’Italia.
L’antesignana di queste ferventi risorgimentali è stata certamente Eleonora Pimentel Fonseca, eroina della repubblica partenopea che durò solo alcuni mesi dal 29 gennaio al 13 giugno 1799. Portoghese di nobili origini, fu una poetessa di grande valore, tanto da essere ammessa all'Accademia dei Filateti, e poi a quella dell'Arcadia, ammirata dal grande poeta Metastasio. A sedici anni già conosceva il latino e il greco e componeva versi; fu anche studiosa di scienze matematiche e fisiche, di filosofia, economia e diritto pubblico, scrisse sull'abolizione del feudalesimo e dissertò sulle riforme economiche.
In adesione agli ideali provenienti dalla Francia che avevano infiammato gli animi e che erano anticipatori dell’idea di nazione unitaria e assertori dell’uguaglianza dei diritti dei cittadini e della necessità di educare e migliorare le condizioni del popolo, aderì alla repubblica napoletana. Come descrive bene il Nievo nelle “Confessioni di un Italiano”, molti patrioti italiani avevano sperato nella costruzione di uno stato italiano con l’avvento di Napoleone, ma purtroppo erano stati delusi. Durante i mesi della Repubblica Partenopea, sui giornali “Repubblica” e Il “monitore Napoletano” da lei fondati, condannò duramente il regime borbonico, sebbene essa stessa fosse stata dama di corte di Maria Carolina di Borbone moglie di Ferdinando IV, e nei primi tempi avesse sperato in una monarchia costituzionale dei Borboni.
Quegli scritti furono la sua condanna a morte: caduta la repubblica napoletana, Eleonora Fonseca fu condannata al patibolo, che affrontò con indifferenza e con il coraggio che l’aveva sempre caratterizzata. Trascorse insomma una vita esemplare e coerente ed esemplare ai suoi ideali di libertà per rendere finalmente l’Italia una nazione unita. Famosa è rimasta la frase in latino che declamò, con grande forza d’animo, prima di morire: Forsan et haec olim meminisse iuvabit ("Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo").
La Contessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso è stata un’altra importante protagonista del Risorgimento, finanziando insurrezioni e partecipando attivamente alle varie ribellioni susseguitesi nei moti pre-unitari, dalle Cinque giornate di Milano, alla Repubblica Romana. Nobildonna milanese vissuta nella prima metà dell’ottocento, quando Milano era sotto il dominio austriaco e l’Italia Unita non rappresentava che un “sogno” per molti patrioti.
E’ stata anche una riformatrice sociale, ha usato le sue ricchezze per realizzare asili e scuole per i figli dei contadini lombardi. Veniva definita una dama dal cuore d’oro e dall’indubbio coraggio. Gli austriaci, che dominavano la Lombardia dal 1815, iniziarono la loro opera di spionaggio che durò fino all’unità d’Italia. La contessa era bella, potente, e poteva dare molto fastidio. La collaborazione con i liberatori e la reazione degli austriaci la costrinsero a lasciare Milano per la Francia, dove visse in povertà per alcuni anni: arrangiandosi con pochi soldi. Preparò per la prima volta i propri pasti e si guadagnò da vivere cucendo pizzi e coccarde. Una vita un po’ diversa da quella cui era abituata a Milano. Dopo un po’ di tempo, in parte con i soldi inviati dalla madre e in parte con quelli recuperati dai suoi redditi, riuscì a cambiare casa e a organizzare uno di quei salotti d’aristocrazia, dove riuniva esiliati italiani e borghesia Europea. Cristina diventerà ben presto un punto di riferimento per gli esuli e i patrioti italiani fondando due giornali, “l’Ausonio” e “il Crociato”. Di grandissima importanza il suo contributo alle cinque giornate di Milano e soprattutto all’insurrezione della Repubblica Romana, dove organizzò e diresse gli ospedali. In un saggio da lei composto negli ultimi anni scrisse:
”La condizione delle donne non è tollerabile se non nella gioventù. Gli uomini che decidono della di lei sorte, non mirano che alla donna giovane […]. Che le donne felici e stimate del futuro rivolgano i pensieri al dolore e all’umiliazione di quelle che le hanno precedute nella vita e ricordino con un po’ di gratitudine i nomi di quante hanno aperto e preparato la strada alla loro mai gustata prima e forse sognata felicità”.
Ma non erano solo salottiere giornaliste, messaggere e consigliere, le donne del Risorgimento erano anche combattenti disposte a perdere la vita in battaglia. La padovana Tonina Masanello per esempio, condivise con il marito gli ideali liberali e patriottici finché, perseguitata con lui dagli austriaci, si travestì da uomo e partì per la spedizione dei Mille.
Combatté nelle più aspre battaglie a fianco del marito il quale fu anche ferito. Si tramanda la leggenda che solo il maggiore Bossi e il colonnello Ferracini conoscessero il suo vero sesso, ma durante una battaglia le volò via il berretto e vedendo i lunghi capelli biondi il generale Garibaldi intuì la sua vera identità. Nonostante questo, le fu assegnato il grado di caporale. Terminata la spedizione dei Mille, poverissimi, Tonina e il marito si stabilirono a Firenze con la figlia che nel frattempo era stata ospite di amici a Modena. Ammalatasi di tisi morì il 21 maggio 1862. La notizia fece eco e su lo Zenzero, giornale di Firenze, si riportava: ”Popolani miei carissimi ieri l’altro sera quella bara che portava un cadavere all’ultima dimora dissero era di un garibaldino, anzi dissero una Garibaldina. Né vivandiera né infermiera ma una combattente, anche un quotidiano di New Orleans scrisse della morte dell’«eroina italiana». Lo scrittore Francesco Ongaro le dedicò una poesia: «Era bionda, era bella, era piccina ma avea cuor di leone. E se non fosse che era nata donna, poserebbe sul funereo letto colla medaglia del valor sul petto. Ma che fa la medaglia e tutto il resto, pugnò col Garibaldi e basti questo”: La suffragetta Ada Corbellini chiese di riposare accanto a lei. Tonina fu sepolta al cimitero monumentale delle Porte Sante, sulla sua tomba una grande lapide riportava il cognome del marito e i versi dell’ode dell’Ongaro. Dal 1958 quella lapide è al cimitero di Trespiano, sotto il pennone del tricolore issato tra le sessanta tombe dei garibaldini. A Cervarese Santa Croce, suo paese natale, la storia di Tonina la Garibaldina si raccontava nei filò, che significa “veglia” in veneto, nelle stalle e sembrava una leggenda tramandata. Invece grazie al lavoro svolto dallo storico e ricercatore Alberto Espen sui giornali e sui documenti originali, risulta che fu veramente una donna eccezionale.
Le donne citate hanno apportato alla storia d’Italia un patrimonio di valori morali e civili di cui si è nutrito tutto il faticoso percorso d’unità. Molte donne durante il Risorgimento sono state ferite, torturate, offese, uccise. Ma proprio con la loro sofferenza hanno trasmesso dei valori etici e morali fondamentali ai loro figli, con i loro esempi, sostenendo congiunti imprigionati torturati che si battevano e sognavano un’Italia unita e pacificata.
Mi sento sempre particolarmente colpita e legata dalle vicende risorgimentali poiché tra i miei antenati, che risiedevano nel Paese di Pontevico in provincia di Brescia, ne risultano due, Forcella Giovanni e Forcella Pietro, segnalati dalla Polizia austriaca, nel 1824, per “brindisi sediziosi”. E nella storia di Brescia è citato il mio bisnonno Sante Forcella, Tenente Generale di Cavalleria, che partecipò alle tre guerre d’indipendenza d’Italia e dopo l’unità fece donazione al comune del suo Palazzo, ancora oggi Palazzo Forcella è la sede del comune di Pontevico.

Nessun commento:

Posta un commento