8 dicembre 2011

Economia ed etica

Il confronto che caratterizza il periodo storico attuale è tra paesi poveri e paesi ricchi. Questi ultimi appaiono, oltretutto, spaventati dal fatto che l'emigrante tende a portare con sé per quanto possibile la propria cultura e la propria religione

Di Maurizio Navarra

No. Mi rifiuto di credere che una consistente, maggioritaria parte dell'umanità debba, per vivere, fare ricorso al sentimento di carità della minoritaria, e ricca, altra parte del genere umano. Non basta. Molto spesso, infatti, la parte povera del mondo continua ad esserlo pur potendo contare su risorse importanti. Risorse a volte semplicemente non impiegate, risorse a volte utilizzate esclusivamente da coloro che sfruttano senza nulla dare e, nel contempo, si adoperano perché povertà ed ignoranza mantengano - in intere regioni - condizioni socio culturali ideali per fare durare il più possibile uno status quo loro favorevole.
Le cose, però, non potranno a mio avviso andare avanti in questo modo per molto tempo ancora. Abbiamo visto con i nostri occhi il disgregamento dell'economia di stato dei paesi sovietici; un sistema gestionale fallimentare proprio sotto il profilo sociale che pure asseriva di tutelare massimamente tutti i cittadini lavoratori, sostenendo di assicurare loro il benessere. Un benessere che, al contrario, rimaneva prevalentemente concentrato in una dispotica classe politica dirigente. Apparentemente il sistema capitalistico ha vinto. Eppure è mia convinzione che la vittoria riguardi una battaglia, non la guerra. Anche il sistema economico basato sul cosiddetto "libero mercato" è entrato in un periodo di crisi; vedremo allora con buona probabilità disgregare sotto i nostri occhi questo sistema che pure assicura, teoricamente, a tutti la possibilità di raggiungere la prosperità.
Esistono fatti concreti che sono inequivocabili indicatori dell'inizio di questo difficilmente arrestabile o reversibile processo. Il principale fenomeno, un avvenimento macroscopico che si cerca di contenere con sistemi di cura palliativa assolutamente inadeguati, è quello dell'emigrazione dai paesi poveri. E' un esodo dal sapore biblico. La gente, la gente che letteralmente muore di fame in quanto non riesce a trovare sostentamento, la gente che è costretta a convivere con la tragedia di guerre che sembrano non finire mai - guerre spesso alimentate da chi ha interesse a mantenere in certi scacchieri un clima instabile - abbandona casa, abitudini, affetti, punti di riferimento culturali e religiosi ed affronta cammini lunghi, densi di pericoli mortali, con la speranza di ottenere una vita nella quale morire di stenti, o peggio veder morire di stenti la propria famiglia, non sia una regola quotidiana.
La fame è una molla incontenibile. Una spinta incessante. Non c'è al mondo barriera o legge che possano arrestarla. La storia, tutta la storia dell'umanità lo insegna a chiare lettere. Per questa spinta l'opulente America del nord parla sempre di più spagnolo o portoghese, per questa spinta la grassa Europa si confronta sempre più da vicino con l'Africa. Una chiave di lettura semplice dei fatti, presto intuita da chi non si è lasciato trascinare dall'onda emozionale del momento, ha immediatamente suggerito che il confronto est - ovest si sarebbe immediatamente tramutato nel confronto nord - sud. La geografia conta poco. Il confronto che caratterizza il periodo storico attuale è tra paesi poveri e paesi ricchi. Questi ultimi appaiono, oltretutto, spaventati dal fatto che l'emigrante tende a portare con sé per quanto possibile la propria cultura e la propria religione. Non è questa cosa da poco. Taluno vede ciò come un importante segnale di allarme in quanto vede in atto una forma di conquista strisciante, contraddistinta da un marker demografico del tutto favorevole alla popolazione recentemente immigrata.
Vanno introdotti, e presto, correttivi prima di essere costretti a fare un grande salto nel buio. L'economia mondiale è nelle mani di pochi, pochissimi speculatori che hanno di fatto drogato ancor di più il mercato, anche attribuendogli l'aggettivazione "globale" dopo l'adesione al WTO (World Trade Organization) del 97% del commercio mondiale. La libera circolazione di merci e capitali, si è detto, favorirà il commercio e metterà i paesi più poveri nelle condizioni di competere con quelli più ricchi. Il risultato fallimentare di questo accordo è nel fatto che la forbice povertà/ricchezza si è ampliata a dismisura mentre qualcuno, profittando della eliminazione delle barriere doganali, ha spostato importanti centri di produzione in paesi a basso costo di manodopera creando la nuova figura dello "job-dumping" che è una nuova forma di concorrenza sleale.
Bene ha visto chi ha sottolineato la necessità di spingere il mercato verso principi di eticità che, in questo momento, appaiono come l'unico correttivo possibile per tentare un salvataggio in extremis dell'economia.

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