2 febbraio 2011

Quale strada per l’Italia?

Zenit, Agenzia di Stampa, analizza anch’essa il problema in una intervista di Antonio Gaspari ad Giorgio Paolucci, caporedattore di “Avvenire”. Cosa afferma Paolucci sul problema del Multicultutalismo in Italia ed Europa?


I modelli di integrazione degli immigrati adottati in Europa si stanno rivelando inadeguati. Perché?
Paolucci: Il vecchio continente è da tempo alla prese con un interrogativo di non facile soluzione: come realizzare una convivenza armonica con gli immigrati che hanno messo radici nel continente, e che spesso arrivano da terre lontane e sono portatori di diverse culture?
I modelli di integrazione finora adottati sono sostanzialmente due. L'assimilazionismo considera l'immigrato come una persona da omologare totalmente, relegando alla sfera privata anche i valori etici e religiosi. E' un'impostazione che ha trovato la sua applicazione più esplicita in Francia, coniugandosi con i principi della laicité che dagli inizi del Novecento presiedono ai rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose. Questa prospettiva si è rivelata però inadeguata soprattutto nei confronti dei migranti di cultura islamica a causa della separazione tra sfera religiosa e sfera civile che essa impone. Non a caso il presidente Sarkozy è più volte intervenuto indicando una nuova prospettiva, quella della “laicità positiva”, che riconosce il ruolo che le esperienze religiose svolgono sia a livello individuale sia a livello sociale, nel quadro di valori condivisi.
Il multiculturalismo è il modello adottato in Gran Bretagna e Olanda, e muove dalla convinzione che ogni comunità etnica o religiosa debba essere libera di organizzarsi a partire dalle proprie regole e tradizioni. Questo ha portato alla formazione di “pezzi” di società parallele e autoreferenziali con rapporti forti al loro interno ma deboli col resto del Paese. La comunità (razziale, etnica, religiosa) prevale sulla persona, e tutte le comunità e le regole da esse stabilite hanno pari dignità. Alla radice del multiculturalismo sta il relativismo culturale, che genera a sua volta il relativismo giuridico, cioè il tentativo di dare legittimazione sul piano legislativo alle diversità che caratterizzano ogni minoranza. Di qui, ad esempio, la moltiplicazione in Inghilterra dei “tribunali sharaitici” che applicano la legge islamica nei contenziosi di natura familiare e che hanno generato una sorta di giurisdizione parallela alla quale ricorre un crescente numero di musulmani. Si arriva così a una giustapposizione delle identità, all'approfondimento delle divisioni di partenza anziché a una loro conciliazione in nome di qualcosa che accomuni. E', in ultima analisi, la negazione della logica dell'incontro a favore di quella di una coesistenza priva di rapporti significativi. Si favorisce la creazione di tante “riserve indiane” governate secondo logiche etnocentriche, anziché di una società aperta, interdipendente e sostenuta da valori condivisi.
Sia il modello asssimilazionista sia quello multiculturalista si sono dimostrati inadeguati nel promuovere una reale integrazione delle comunità straniere nei Paesi in cui sono stati adottati.

Non è sufficiente, dunque, l’approccio “interculturale” che oggi sembra andare per la maggiore nel nostro Paese?
Paolucci: Sarebbe irrealistico pensare che la convivenza si possa organizzare a partire da una semplice “mescolanza” delle identità, come sostengono alcuni alfieri della cosiddetta prospettiva “interculturale”. Essa richiede una condivisione pratica (non solo, quindi, la loro mera conoscenza teorica) di valori fondanti come la dignità della persona, la libertà – di pensiero, di espressione, di organizzazione, di intrapresa, ecc. -, il pluralismo, la laicità, la democrazia, la pari dignità tra l’uomo e la donna. Valori che in nessun caso sono subordinabili a quello che il politically correct definisce “rispetto della diversità” e che può diventare un pericoloso alibi per la creazione di zone franche in cui vigono codici di riferimento diversi da quelli a cui devono sottostare tutti coloro che vivono in questo Paese.

Ripreso da una più ampia intervista pubblicata da Zenit il 27 gennaio 2011 dal titolo; Immigrazione: problema o risorsa?

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