4 febbraio 2009

La Paladina della Torah

Una lettura tutta al femminile delle sacre scritture
Da bambina ha studiato all’Asmara in una scuola italiana di medoto montessoriano. Ecco perché ora ama il nostro Paese, «la sua bella lingua e i suoi splendidi monumenti» Una passione che da adulta l’ha fatta tornare in Italia come insegnante di ebraico


Di Carlotta Morgana

NATA NEL 1962 in Eritrea da una famiglia di origine yemenita di Aden, Yarona Pinhas compie i suoi primi studi in una scuola italiana di metodo montessoriano. Impara così ad amare la cultura del Belpaese, soprattutto la «splendida lingua musicale e le meraviglie artistiche che hanno contribuito alla mia formazione», dice. Nel 1975, dopo il colpo di Stato, con la famiglia è costretta ad abbandonare in fretta e furia casa e amici. Va quindi in Israele, a Tel Aviv, dove compie i suoi studi all’università ebraica di Gerusalemme laureandosi in Linguistica e Storia dell’arte. Agli inizi degli anni Novanta arriva in Italia e insegna all’Orientale di Napoli. Successivamente è tra i fondatori dell’Ulpan (scuola di ebraico moderno) di Roma, dove tuttora è docente. I valori «al femminile» della Torah sono il filo conduttore di entrambi i suoi libri: «La saggezza velata» del 2004 e «L’onda sigillata» appena uscito, entrambi editi da Giuntina.

DICE COSE di una logica cristallina del tipo: «Femminile e maschile si completano e contemplano, l’uno non esiste senza l’altra e viceversa. Sta scritto così da millenni nel libro dei libri». E ancora: «La conoscenza è un’aspirazione innata nell’essere umano ed è legittimo che l’uomo consumi, o meglio, si cibi di ciò. Ma larga parte della speculazione filosofica e teologica è incentrata sul tema sapere/non sapere. Ovvero: più sai e, a volte, meno conosci».
YARONA PINHAS, dietro a uno smagliante sorriso di bella donna mediorientale, nasconde una finissima mente matematica che con quattro semplicissime equazioni dialettiche spiazza qualsiasi interlocutore: «Comprendiamo noi stessi e le nostre origini -dice la scrittrice israeliana, reduce da un convegno organizzato dalla Provincia di Piacenza su "Donne e religioni" -con la semplice lettura della Torah».
Pensa davvero che basti una semplice lettura, anche del tutto laica, per andare al cuore del nostro vivere, pure di quello odierno così forsennato?
«Tutti possono avvicinarsi alle antiche scritture, basta voler leggere davvero. E, soprattutto, porsi in una posizione d’ascolto».
Difficile,di questi tempi, dove si vuole soprattutto parlare.
«Ormai non si comunica più, ci sono solo lunghi monologhi. La parola ha perso il suo valore primario, cioè di essere sentita dagli altri. Così siamo sordi e per farci capire magari paghiamo uno psicoterapeuta, l’unico che alla fine ci ascolta davvero».
Mala lettura della Torah cosa c’entra in tutto ciò?
«Per me è stata fondamentale. Ad un certo punto della mia vita ero in cerca del mio "shalom", della mia pace. Ovvero di come svolgere il mio ruolo di essere umano in mezzo all’universo e ho così provato a darle un’interpretazione del tutto femminile e ho trovato le risposte che ho poi illustrato nei miei libri».
Un’eresia. «Fino a qualche anno fa di certo. Ma ora anche in Israele si stanno facendo largo donne che dicono: "Da tempo immemorabile gli uomini hanno studiato e spaccato il capello in quattro per capire le leggi divine e, di conseguenza, le regole della vita. Adesso tocca a noi, seguiamo l’esempio di Eva»
Ovvero?
«Eva era stata cacciata dall’Eden non perché disubbidiente, ma perché assetata di sapere. Pensava: vado a vedere cosa c’è là fuori, poi torno. Ed è questo il nostro ruolo, il nostro valore aggiunto. Andare a vedere al di là, davvero al cuore delle cose, non fermarci alle apparenze, ascoltare gli altri, comunicare nel senso più alto. E non ci sono barriere linguistiche o geografiche che tengano». Una sfida ardua, soprattutto per voi israeliane. «Sono sempre più convinta che il dialogo possa portarci davvero alla pace. Ma deve esserci da tutte le parti, non da una sola. Altrimenti è come dicevo prima, un monologo e le relazioni si interrompono, generando nel migliore dei casi fratture. Nel peggiore conflitti terribili». Sembra facile a dirsi, perché poi non si riescono mai a concretizzare speranze e utopie? «E’ indispensabile anche una corretta comunicazione. Voglio dire che bisogna informare senza pregiudizi, raccontando davvero come sono i fatti, facendoli raccontare a tutti i protagonisti della vicenda di cui si deve dire. Si avranno così pareri diversi, ma con i quali si possono-fare i conti. Diversamente, la faziosità genera solo risultati negativi e nefasti».

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