1 luglio 2007

QUALI LE RAGIONI?

Dove si trovano le cose che contano?

Don Antonio Mazzi

I fatti della vita ci obbligano di tanto in tanto a frenare sui nostri pensieri.
Troppo facile premere sul pedale della tragedia, o invocare l’aiuto dello psichiatra o, peggio ancora, fare dell’umorismo in attesa di giorni migliori.
In questi tempi, sembrano stravolgersi certezze e speranze, fino a ieri radicate profondamente nella storia della gente.
Istinti selvatici e mostruosi piombano sulle nostre case come cicloni e terremoti apocalittici, seppellendo in pochi secondi tenerezze, emozioni, ragionamenti, amicizie, amori, sicurezze.
Mentre stavamo ricostruendo con grande impegno le nostre città devastate dalla guerra e in preda alla povertà, non ci siamo accorti che il vecchio equivoco, nato attorno alla biblica torre di Babele, si riproponeva con accento ancora più tragico.
Allora furono le lingue a non essere comprese, oggi sono le politiche, gli egoismi, le sopraffazioni, le aggressività, le solitudini, ad alzare mura altissime tra uomo e uomo.
Evitiamo atteggiamenti teatrali e letture solo patologiche dei fatti! Recuperiamo il timone perché la tempesta si palpa e l’uragano si fiuta. Gli errori più gravi li abbiamo fatti travisando la quotidianità
Abbiamo seminato nel vento, e stiamo raccogliendo nella tempesta.
Fino all’altro ieri, la vita, da sola, era più che sufficiente per dare gusto alle vicende umane, perché era: semplicità, affetti famigliari, parsimonia, fatica domestica, lavoro agricolo, sacrificio, fede, patria.
Pensavamo d’aver scacciato dai nostri cuori le ombre malefiche dei caini, affascinati dalla voglia di pace e giustizia. Invece nella baraonda della nuova Babele l’aggressività e la morte sono tornate a turbare i nostri sogni, a cavalcare i nostri relitti.
Battersi il petto oggi serve a poco. Abbiamo sbagliato ma il tempo c’è per riparare e per rinascere.
È nel terminale di noi adulti il virus mortale. La vita è ricerca di liberazioni, di risposte nascoste dietro il sudore di fatiche subito credute inutili e sconfitte lancinanti secondo noi ingiuste. Non è emissione di banconote, inseguimento dissennato ai piaceri, bellezza a qualsiasi costo, come abbiamo fatto intendere a noi stessi.
Dobbiamo tornare a rimettere la solitudine, il dolore, le regole, l’ascetica prima nella nostra vita, per essere credibili quando le proporremo dentro la vita dei nostri figli.
Scambiare la famiglia come il luogo dove si depositano i panni sporchi e le giornate come coloratissime sequenze televisive, è l’altro grande errore che ha disorientato i nostri giovani.
Il dramma non è solo l’elaborazione paranoica delle morti dei padri, ma la certosina e macerante autoeliminazione di ogni brandello di serenità che i nostri figli vanno progettando, tra il silenzio attonito della società distratta.
Una paraboletta ebrea, narra:
“C’era una volta uno stolto così insensato che era chiamato Golem (stupido). Quando si alzava al mattino gli riusciva così difficile ritrovare gli abiti che alla sera, al solo pensiero, spesso aveva paura di andare a dormire.
Finalmente una sera si fece coraggio, impugnò una matita e un foglietto, e spogliandosi, annotò dove posava ogni capo di vestiario.
Il mattino seguente, si alzò tutto contento e prese la sua lista. Il berretto: là, e se lo mise in testa. I pantaloni: lì, e se li infilò; e così via fino a che ebbe indossato tutto. Finita la fatica, sentì all’improvviso salire dentro di se una domanda: Si, ma io dove sono rimasto?”.
Noi adulti abbiamo insegnato ai nostri figli tantissime cose, li abbiamo ricoperti di indumenti bellissimi. Abbiamo insegnato loro dove si trovano: le scarpe, i telefonini, i motorini, i titoli di studio, le pizzerie, i luoghi di villeggiatura, gli amori stagionali, l’informatica, i bancomat.
Purtroppo non abbiamo insegnato loro le cose più faticose, importanti, necessarie: dove sta il dolore, la pazienza, la gioia, la fede, la serenità.
Abbiamo insegnato loro ad attingere l’acqua ai pozzi artificiali, e non a quei pozzi profondi scavati nella roccia, dentro ai quali si trovano le sole acque che dissetano l’anima.

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