1 luglio 2007

Delegazione Israeliana in Italia e San Marino

Incontro con rappresentanti di San Marino
di Giorgio Gasperoni
Un primo passo per la creazione di rapporti di cooperazione tra le amministrazioni locali italiane ed Israele, è stato fatto nella settimana che va dal 12 Marzo al 17 Marzo 2007, La delegazione era composta da: Onorevole Talab El Sana, Presidente del gruppo parlamentare Ra'am-Ta'al; Hod Ben Zvi, Segretario Generale UPF Israele (Universal Peace Federation) e consulente WFWP Israele; Shuki Yariv Ben-Ami, presidente della World Media Association, sezione Israele.
Le tappe della visita sono state la visita al Presidente della Provincia di Varese, i sindaci di Varese e Busto Arsizio, il Presidente della Provincia di Bergamo, la Presidenza della Provincia e del Comune di Milano, la Presidenza della Regione Piemonte, la visita al Sermig di Torino ed infine la delegazione si è trasferita a San Marino dove nel pomeriggio del venerdì 16 Marzo, ha incontrato alcuni esponenti del Governo sammarinese e al sabato mattina ha incontrato il Sindaco e la giunta della città di Pesaro dove si sono detti disposti ad aiutare a trovare una città israeliana da gemellare con Pesaro e con una città palestinese. Sabato pomeriggio, 17 Marzo, prima di prendere l’aereo per Tel Aviv, ha incontrato l’Ambasciatore Israeliano per l’Italia e la Repubblica di San Marino a Roma
Obiettivo degli incontro è stato quello di porre le basi per progetti futuri, fra cui la possibilità di organizzare con le varie amministrazioni, degli incontri tra una delegazione israeliana e una palestinese, di volta in volta composta da studenti, parlamentari, educatori o leader femminili. La delegazione israeliana ha proposto di presentare progetti piccoli, medi e grandi, a breve e lungo termine, così che le amministrazioni possono scegliere i progetti più attinenti alle loro realtà locali, per cercare la pace, che nasca ancora prima che dai governi, dalla società, dagli incontri di cultura, da quella conoscenza che rende più difficile il degenerare delle situazioni. Con la consapevolezza che c'è poco tempo da perdere: «Noi pensiamo di essere ad un punto di svolta. - Spiega Shuki Yariv Ben – Ami, giornalista e studioso, presidente della sezione Israeliana di World Media Association - Abbiamo appena terminato una guerra, e sentiamo di essere, più che in pace, tra una guerra e l’altra. Noi preferiamo la pace».
Incontro alla Provincia di Varese
E per cercare di conservarla, si rivolgono direttamente all'Italia, alle istituzioni e alla cultura italiana. Pensiamo che l’Italia ci sia vicina – continua Ben Ami - perché è geograficamente vicina al Medio Oriente e ci può aiutare a iniziare progetti comuni. Noi abbiamo sulle spalle sette o otto trattati di pace, più di duecento negoziati, ma nessun risultato: pensiamo così che bisogna tentare altre strade. Il dialogo non deve essere solo politico ma anche culturale, religioso e accademico. Noi abbiamo attuato nel passato progetti meravigliosi di pacificazione aiutati dalle regioni italiane: per questo posso dire che l’Italia è il nostro alleato più vicino e può fare da leader e da guida nella crisi tra Israele e Palestina».
Senza il timore dell'idea che l’Italia sia troppo filo palestinese, come a volte dicono: «Lo dicono, certo. Ma nonostante ciò gli israeliani hanno per gli italiani sentimenti positivi e nutrono simpatia per loro. Diciamo che siamo sospettosi verso alcuni paesi, ma non proprio verso il vostro».
Il tempo è poco: dalla loro ottica la guerra è molto più vicina di quel che appare dall'altra parte del mediterraneo: «Siamo qui perchè abbiamo sentore di guerre che stanno per arrivare – aggiunge Hod Ben Zvi, ricercatore all'università ebraica di Gerusalemme e segretario generale dell'Universal Peace Federation israeliana - Percepiamo nettamente che il dialogo di pace sta morendo: per questo siamo convinti debbano entrare in gioco altre parti. E l'Italia può aiutarci: se la realtà politica non dialoga con le società, lo possono fare gli insegnanti, i professori, i ricercatori, gli studenti: e il dialogo permette di capirsi meglio. Abbiamo più di 100 organizzazioni di volontari al lavoro a Gaza e Gerusalemme, siamo certi che gli italiani possono fare qualcosa per aiutarci».
Incontro con il Sindaco di Pesaro
La delegazione israeliana viene in pace cercando pace, e per questo evita innanzitutto una cosa: «L'unica cosa che non vogliamo fare è giudicare: il conflitto qui è tra il diritto palestinese e quello israelieano, e dentro questi confini dovrebbe stare, invece che invadere tutti i settori della società».
Il parlamentare l'Onorevole Talab El Sana, ha sottolineato gli obiettivi della visita: "La risoluzione di una realtà difficile come quella che oggi viviamo non può avvenire usando la forza. E' necessario creare la pace con i nemici e non con gli amici. E questa stessa pace può nascere solo dal popolo e non può essere calata dall'alto, dai leader politici. Un nostro proverbio dice che la cosa migliore da fare è accendere una candela piuttosto che accanirsi contro l'oscurità. Il poter avvicinare la gente al senso della pace, attraverso questi progetti, rappresenta una prima piccola luce. I progetti che vorremmo tessere con l’Italia e con San Marino riguardano ad esempio il coinvolgimento di educatori italiani con educatori palestinesi e israeliani o la possibilità di organizzare un incontro tra delegazioni palestinesi e israeliani perché stando lontano da casa si riesce a dialogare senza pregiudizi”.
"Il dialogo non si crea ad alti livelli - ha detto Hod Ben Zvi -, la politica non ha più la forza perché forse manca la cultura della pace. Siamo qui oggi perché grazie all'esperienza italiana e delle diverse realtà locali, è possibile portare una nuova cultura in Israele”.
Ecco perché loro tre sono venuti in delegazione in Italia, “appartenenti a partiti diversi ma con un unico sogno: portare la pace in Medio Oriente”.
A portarli in Italia, proprio l’UPF, una ONG internazionale presente nel Consiglio economico-sociale dell’ONU,
HOD BEN ZVI racconta le attività che l’UPF e molte altre ONG insieme stanno realizzando dal 2000 in poi: “Abbiamo iniziato nella parte sud di Israele invitando Imam e rabbini, insieme alle mogli: un incontro tra coppie. Volevamo superare la fase degli incontri in cui ci si limita a dichiararsi reciproco, generico, rispetto. Parlando, si è iniziata a creare un po’ di tensione. Allora un mio maestro giapponese ha detto con decisione: forse dovremmo pregare, non esteriormente, ma con profondità. Tutti sono rimasti spiazzati… il terzo giorno, l’atmosfera è cambiata completamente; le persone hanno iniziato ad apprezzare i punti comuni e non si sarebbero più lasciate… Da quel momento abbiamo avuto incontri di dialogo interreligioso una volta ogni quindici giorni/un mese, a livelli diversi”.
Un altro intervento è stato condotto dalle donne legate all’UPF sulla popolazione, per cancellare l’angoscia e il risentimento causati dalla sofferenza: “Queste donne hanno visitato casa per casa le famiglie che hanno perso dei cari o hanno avuto dei feriti. Non hanno preso le parti dell’una o dell’altra, le hanno visitate con cuore di madre, ascoltandole, cercando di capire la loro sofferenza; pian piano il desiderio di vendetta, di rivendicazione, di odio si è trasformato in comprensione, in dolcezza e questo ha aiutato a lenire le ferite”.
C’è poi il lavoro del Centro di Gaza: “Lì ci occupiamo dei ragazzi e delle loro famiglie. Abbiamo realizzato un torneo di calcio con 16 squadre proprio nel momento peggiore del conflitto; nonostante tutto, siamo riusciti a far sì che i ragazzi potessero completare il loro torneo. Questo li ha coinvolti con uno spirito diverso, gioioso, rispetto a quello che stava accadendo attorno a loro.
A Gaza abbiamo un asilo, dove ogni giorno diamo da mangiare a 250/300 bambini. Purtroppo in quest’ultimo periodo si è complicata la situazione degli aiuti umanitari ed è difficile continuare a sfamare questi bambini…
Abbiamo poi un Centro nel cuore di Gerusalemme, dove si incontrano leader di varie religioni, del settore umanitario, altre persone che dedicano la loro vita a portare la pace, palestinesi ed israeliani.
C’è anche un altro membro del parlamento che lavora con noi, l’on.Ran Cohen, che non ha potuto essere qui proprio per i dialoghi di pace in corso in questi giorni. Talab El Sana e lui invitano delegazioni da ogni parte del mondo per promuovere la cultura della pace, proprio nelle aule del parlamento. “Pian piano stiamo trasformando il parlamento israeliano in un piccolo Arsenale di Pace” osserva con ironia Hod Ben Zvi.
Altre iniziative coinvolgono gli educatori, i gruppi sportivi, i giornalisti e tanti altri livelli della società. “Perché operare su tanti livelli? Perché la pace può essere realizzata solo se tutti i brandelli di questa società sfilacciata possono ricucirsi insieme” conclude Hod Ben Zvi. Shuki Ben-Ami aggiunge: “Quasi il 75% israeliani e il 75% dei palestinesi vogliono la pace, ma pochi vogliono spendersi per realizzarla, pochissimi sarebbero pronti a morire per essa. Molti stanno seduti a casa aspettando che la pace arrivi. Per realizzare la pace dobbiamo essere più coraggiosi di quelli che provocano la guerra. Siamo ancora in attesa di leader coraggiosi disposti a spendersi per la pace. Pensiamo che questa pressione debba venire dal basso: se riusciamo a mettere insieme educatori, giornalisti, medici, parlamentari, probabilmente questa pressione comincerà a spingere”. Uno degli ostacoli più grossi è costituito dal “prendere parte” per Israele o per Palestina da parte di amministratori pubblici o associazioni del resto del mondo. Il ruolo che viene chiesto ai Paesi esteri è, al contrario, quello di bravi genitori con due figli che litigano: possono anche pensare che abbia iniziato l’uno o l’altro, ma non lo esternano ed aiutano invece in tutti i modi i due figli a superare ciò che è stato e rappacificarsi.

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