1 luglio 2007

La Famiglia, vecchio soggetto, nuovo problema

di Giuseppe Calì

Civiltà che fino a pochi decenni fa si sviluppavano quasi indipendentemente con i propri valori, usanze e tradizioni, oggi, nella cosiddetta era della globalizzazione, vengono a coesistere sugli stessi territori geografici, economici e culturali. La storia ci insegna che nel confronto tra civiltà diverse, spesso è la paura (con tutto ciò che ne consegue) a prevalere sullo spirito di integrazione, di collaborazione civile, di dialogo vero e costruttivo. I temi sono tanti: l’economia emergente dell’oriente, le spinte fondamentaliste e nazionalistiche, la crisi culturale e valoriale del blocco occidentale, fino ad arrivare all’Africa con tutta la sua drammaticità e nello stesso tempo il suo desiderio di emergere sulla scena mondiale con una nuova dignità.

A questi temi internazionali si aggiungono quelli che riguardano in particolare l’Italia dove lo scontro, dai temi ideologici, economici e politici si sta spostando oramai sul terreno dei valori più fondamentali dell’esistenza. Prima tra tutti la tematica della famiglia.

Da una parte, a farci quasi ripudiare e addirittura odiare l’istituzione familiare classica, la spinta verso modelli diversi, alternativi persino ai valori antropologici più essenziali e la cronaca che ci inorridisce quotidianamente con episodi di violenza che fino a poco tempo fa avevano riguardato le guerre peggiori e le faide tribali più arretrate, ma che ora coinvolge famiglie cosiddette normali.

Dall’altra il desiderio potente di essere famiglia, non solo con i propri cari, ma anche con i vicini di casa, i colleghi, di estendere il raggio dei propri legami affettivi a comunità intere. Questo per me è stato il senso della manifestazione di Roma a favore della famiglia. Mi hanno fatto riflettere le parole dei giocatori del Milan che, dopo la vittoria nella Coppa dei Campioni, quasi in coro affermavano che il segreto di questa squadra era stato “l’essere una famiglia”. Vero o no, perlomeno questo è il desiderio irremovibile che alberga da sempre nell’animo umano e, in un certo senso, il segreto che sta dietro lo sviluppo delle civiltà.

E la famiglia non è l’unico tema importante. La sicurezza, la convivenza di civiltà e fedi, il futuro dei giovani, l’eutanasia, la pena di morte, per citarne solo alcune. Tutte queste tematiche entrano nelle nostre case con una forza mediatica dirompente, che ci coinvolge e ci lascia spesso senza fiato. C’è bisogno di una riflessione profonda che ci aiuti a trovare il bandolo della matassa ed una nuova speranza. Non basta “resistere”, non si può solo proporre vecchi metodi: è necessario trovare nuove vie, seppure all’interno dei valori fondamentali che restituiscono all’uomo e alla donna la giusta dignità.

Emerge con forza la problematica legata all’identità ed al senso di appartenenza. Quale è la nostra identità oggi? A chi apparteniamo? È sempre più difficile rispondere ed in questa difficoltà intravedo le cause dello squilibrio in cui viviamo. Dovremmo chiederci se ultimamente non abbiamo messo troppa enfasi sull’individuo, le sue libertà, i suoi diritti, i suoi desideri a prescindere dalla direzione in cui lo portano a lungo termine. Se ciò è vero, allora capisco perché ci siamo dimenticati del significato vero di parole come famiglia, comunità, umanità, solidarietà, carità. Ne abbiamo fatto questioni politiche, economiche, conflittuali, privandole della loro magia e direi anche dissacrandole, posto che facevano parte del progetto divino per l’uomo. L’individualismo ha sommerso tutto il resto. Il mio timore è che, quando la società avrà concluso questo processo di “modernizzazione” o “laicizzazione” come vengono, secondo me erroneamente definiti i processi sociali attuali, ciò che rimarrà sarà un insieme di persone che non sapranno come convivere e non avranno più motivazioni autentiche per farlo. Le leggi prima o poi non basteranno più e si arriverà alla guerra.

Io, che credo fortemente in Dio e nell’Uomo – Suo Figlio, sono sicuro che ci fermeremo prima, che presto arriveremo a riflettere più profondamente sul senso della nostra esistenza e sapremo costruire nuove basi. È questa speranza che alimenta il mio ideale di pace e che mi da la forza di lottare per ciò in cui credo.

Quali soluzioni dunque? Cosa possiamo fare? Si possono ipotizzare interventi in tutti i campi, ma io credo che la chiave più efficace sia da individuare nell’educazione dei giovani. È lì la vera linea del fronte, perché è lì dove tutto ha cominciato a rovinarsi ed è lì che la nostra civiltà potrà rinascere. Certo, essendo testimoni della morte per droga di giovani con ancora tante potenzialità da esprimere, professori che scambiano spinelli con i loro studenti e cose anche ben peggiori, come ci è successo ultimamente non è facile sperare in un cambiamento positivo radicale come quello che ci vorrebbe.

Riflettendo sul declino morale della nostra cultura, siamo particolarmente preoccupati da come la mancanza di etica affligga i nostri figli. Abbiamo sperato che le scuole potessero sostenere quella guida morale che le famiglie e le chiese hanno sperato di dare, ma le scuole pubbliche sono oggi ripulite da tutti quegli insegnamenti che derivano dalla tradizione religiosa. Ci sono alcuni insegnanti che cercano personalmente di sopperire a questa mancanza, ma in genere, la scuola, con i suoi amministratori, insegnanti e testi si guardano bene dall’enfatizzare temi religiosi e morali. Alle scuole pubbliche si chiede di fare magie alla Houdini: con la mani legate recuperare un tesoro sommerso da una vasca di acqua torbida. La tendenza oggi è quella di mantenere le istituzioni lontane dalla religione, vista come un ostacolo alla società pluralistica e laica. Questo timore è stato ultimamente al centro del dibattito pubblico, ma mentre noi dibattiamo è come se cercassimo di spegnere un fuocherello davanti a noi, mentre un incendio divampa alle nostre spalle bruciando il futuro dei nostri giovani e della società. Bisogna andare alla radice del problema.

Oggi la droga, la sessualità senza controllo, il consumismo esasperato hanno fatto si che i genitori perdessero quasi completamente l’autorità sui figli. Oggi i ragazzi sono influenzati molto di più dalla televisione, dagli amici, dai fenomeni di massa quali la moda, che dalla propria famiglia.

Possiamo comunque definire in modo preciso la meta dell’educazione: è di guidare l’uomo nella sua dinamica evolutiva attraverso cui egli forma se stesso come “persona”, armata di conoscenza, capacità di giudizio e virtù morali, mentre allo stesso tempo gli trasmette l’eredità spirituale della nazione e della civiltà in cui è coinvolto, preservando così le realizzazioni millenarie delle generazioni. La definizione di Maritain degli scopi dell’educazione, include conoscenza, virtù morali e la trasmissione di valori essenziali per la civiltà.

Considerare le mete dell’educazione ci porta a definire il tipo di persona e la natura della società che vogliamo costruire. Presumibilmente abbiamo bisogno di persone di buon carattere che possano aiutare a costruire un società sana e virtuosa.

Un ideale significativo è necessario per estrarre il meglio della profonda natura morale ed un potenziale mondo di grandi valori. Man mano che la cultura si discosta dalle radici classiche e religiose, tutte le istituzioni, non solo la scuola, si dimenticano dello scopo profondo del creare persone sane ed una società virtuosa. I Dieci Comandamenti diventano così “dieci suggerimenti”.

Il professore Huston Smith, autorità religiosa negli Stati Uniti scrive (“World Religions” 1991): “Dopo migliaia di anni di storia, cosa abbiamo imparato come esseri umani? Le grandi tradizioni ci offrono una quantità di saggezza che abbiamo bisogno di imparare se vogliamo vivere bene. Quali sono le caratteristiche di questa saggezza? Nella dimensione etica il Decalogo riassume la storia di tutte le culture. Dobbiamo evitare l’omicidio, il furto, la menzogna e l’adulterio. Queste sono minime linee guida, ma non sono trascurabili, se ci rendiamo conto di quanto il mondo sarebbe migliore se fossero universalmente rispettate”.

Se la cultura quindi mostra caratteristiche di decadenza morale, la scuola può essere concepita allo scopo di promuovere salute morale. Questo comporta che ognuno ed ogni cosa connessa con gli studenti debba contribuire allo sviluppo di un carattere sano: genitori, insegnanti, studenti stessi, programmi, libri di testo, e tutti gli elementi che possono avere un impatto sulla crescita morale. La meta è che ogni studente, lasciando la scuola, abbia sviluppato un acuto senso delle responsabilità personali e civili. La nostra cultura invece ha fallito nello sfidare gli studenti con ideali di eccellenza accademica e morale. Abbiamo lasciato i nostri figli a rotolarsi nelle sabbie mobili dell’egocentrismo e li abbiamo così “demoralizzati”.

La moderna enfasi sui diritti e la libertà, sull’utilità della felicità ed il suo perseguimento, hanno generato un grande progresso. La modernità fornisce il terreno intellettuale attraverso cui possiamo criticare le società tradizionali che erano repressive, aristocratiche, ostili ai diritti umani condivisi, e troppo indifferenti alla sofferenza umana. Ma questa modernità porta con sé un costo molto alto, perché sminuisce i valori tradizionali e religiosi, quali il senso del dovere, il sacrificio, l’amore e la vita in comunità che sono senza dubbio essenziali al nostro benessere interiore e morale.

L’istituto per i valori educativi della contea di Baltimora, negli Stati Uniti, ha individuato i valori contenuti nella Costituzione Americana che possono servire quale base per una educazione del carattere: Compassione, Gentilezza, Capacità critica, Giusto processo, Pari Opportunità, Libertà di pensiero ed azione, Onestà, Dignità, Integrità, Giustizia, Conoscenza, Lealtà, Obiettività, Ordine, Patriottismo, Consenso razionale, Discussione ragionevole, Rispetto per i diritti altrui, Responsabilità, Responsabilità civile, Sovranità della legge, Auto rispetto, Tolleranza, Verità.

Questi sono valori tramite i quali possiamo valutare l’azione delle nostre istituzioni, che in realtà da questi valori sono nate. Se la nostra civiltà vorrà fare meglio, dobbiamo diventare tutti guardiani del buon carattere che conosce il valore della vita e come proteggere e migliorare le istituzioni create per il bene comune.

Anthony Bryk, Valerie Lee e Peter Holland spiegano che: “La visione convogliata nelle scuole pubbliche è quella di uomo economico: un uomo ed una donna razionali che perseguono i propri interessi, cercando il piacere materiale, guidati verso il successo individuale. In contrasto dovremmo promuovere una visione basata sulla dignità di ogni essere umano e nella responsabilità di ognuno nel costruire la pace, la giustizia ed il benessere comune. Educare deve essere formare la coscienza degli studenti al bene comune e condiviso”. (Catholic schools and the common good 1993)

L’educazione parte da valori largamente condivisi ed in realtà noi li avremmo. L’idea comune è che la scuola sia necessaria per realizzare le mete che la società auspica: preparare le giovani generazioni ad essere cittadini di coscienza, rendere capace ogni persona di apprezzare e contribuire alla cultura, affinare le sensibilità intellettuale ed estetica, rendere pronti per le scelte professionali con cui ci si dovrà confrontare, instillare un senso di responsabilità per gli altri e l’integrità, insegnare come seguire e come guidare gli altri, fornire ai giovani i migliori modelli in ogni campo, incoraggiandoli a dare sempre il meglio di sé.

Le grandi tradizioni religiose, i grandi filosofi, i genitori e gli insegnanti sanno che la consapevolezza e l’autocontrollo sono le basi per le virtù. Il rifiuto dell’insegnamento morale è sintomatico di ciò che non funziona nel nostro sistema educativo. La religione è diventata qualcosa da evitare come un film a luci rosse, mentre i nostri figli assistono a scene di violenza e di sesso nelle case, nei cinema e nelle scuole. Paul Tillich spiega che “ La religione coinvolge le nostre convinzioni più elevate circa la natura della realtà ed è la base sulle quale una cultura si costruisce. La cultura è un’espressione della nostra fede”.

I fondatori della democrazia hanno compreso e sostenuto che i popoli devono governarsi da sé, ma anche che potevano farlo soltanto essendo virtuosi. Se la democrazia economica, la libera impresa, deve essere così centrale nella nostra vita, è necessario che una cornice morale fatta di onestà, fiducia, integrità e tutte le virtù conseguenti, siano la vera guida verso il suo successo.

Cosa richiede la democrazia? Un comportamento responsabile, compassionevole, giusto, onorevole, così che possiamo godere della libertà per tutti. Soltanto così possiamo realizzare una società equilibrata tra diritti dell’individuo e bene comune.

Se consideriamo per esempio anche soltanto uno di questi valori, il rispetto, quale principio più di questo rafforza il sistema politico, economico e sociale e quindi la democrazia in sé? Eppure è un valore che deriva dalla comprensione che ogni uomo è creato ad immagine di Dio ed ha un unico ed infinito valore. Non esiste nessun altro sistema ideologico che possa rafforzare la democrazia più di quello religioso. Sturzo disse: “La democrazia o è cristiana o non lo è”.

Penso, concludendo, che sia arrivato il momento di guardare più seriamente a ciò in cui crediamo e promuoviamo e come questo possa nutrire o debilitare i nostri giovani e così il futuro della nostra cultura democratica. Nelle nostre vite personali, così come nelle pubbliche istituzioni, abbiamo la possibilità di realizzare qualcosa di degno se abbiamo una visione degna a cui dedicarci. Ogni società deve essere basata sull’ideale che gli esseri umani sono legati da uno standard interiore, stabilito nel loro animo e dalla legge del bene supremo che lega l’uomo all’intero universo.

Una Teologia di Pace

Fede alla ricerca della comprensione

di Clinton Bennet

Innanzi tutto, cosa intendiamo dire quando parliamo di teologia di pace? La teologia può essere definita come “fede alla ricerca della comprensione”. Essa ha origine dalla fede in Dio o da una realtà prima, sovraumana, che creò l’universo e che continua a sostenere la vita. Dio può anche essere descritto come un “essere non contingente”, vale a dire che mentre ogni cosa nell’universo dipende da Dio per la sua esistenza, l’esistenza di Dio è totalmente auto-sostenuta. Gli indù guardano all’universo come un’emanazione dell’Assoluto piuttosto che una realtà distinta creata nel tempo, e che l’universo dipenda quindi ancora dall’Assoluto per la sua esistenza. Letteralmente la teologia è conoscenza (logos) su Dio (theos). Perciò una domanda fondamentale è da dove arriva questa conoscenza e come può essere valutata la sua veridicità.

La teologia ha tradizionalmente riconosciuto due sorgenti di conoscenza. Per prima cosa riconosce le Scritture che Dio rivela o comunica all’umanità. Secondo riconosce la presenza di Dio all’interno della creazione, che si esprime attraverso la natura così come attraverso gli uomini e le donne di grande interiorità e realizzazione spirituale. Se la prima sorgente è identificata con la rivelazione, la seconda è spesso identificata con la ragione. La rivelazione può essere compresa come l’aprire il sipario su Dio. Tuttavia è Dio, non l’uomo, che apre il sipario permettendoci di vedere abbastanza della sua realtà per comprenderne la natura ma non per vederlo nella sua pienezza. La mente umana non è in grado di afferrare la totale realtà di chi è Dio.

Il dibattito sulla relazione fra rivelazione e ragione, e chi ha la priorità, ha impegnato pensatori di molte tradizioni religiose. Quasi tutti i pensieri teologici fra le religioni mondiali danno la priorità alla rivelazione. La teologia è considerata generalmente come una disciplina confessionale, vale a dire che essa ritiene che qualcosa chiamata “fede” esiste, che c’è un Dio, e che il ruolo della teologia è portare più luce sullo scopo di Dio per l’umanità. In questo senso essa non proclama un neutralità nei confronti della religione, a differenza dei sociologi e degli psicologi della religione che non sostengono nessun particolare punto di vista riguardo a se ci sia o no una realtà divina dietro la religione o se la religione contenga o meno delle verità. Essi studiano semplicemente come la religione funziona nella società o all’interno della psiche umana. I teologi possono offrire argomentazioni a sostegno della razionalità della fede in Dio, ma sono soprattutto interessati a aiutare coloro che già hanno una fede religiosa nello sviluppo della loro comprensione di quella fede e nel discernere gli scopi di Dio per la loro vita e per l’intera umanità.

Teologia pratica

Può sembrare che la teologia abbia poco a che fare con la realtà , con le sfide, le gioie, le delusioni, il dolore, le speranze e le paure della vita reale, può sembrare che si ponga domande per le quali nessuno sta cercando risposte. Tuttavia, ciò che noi chiamiamo teologia pratica o alle volte teologia applicata, cerca di trattare questioni e domande con cui si confrontano le persone di fede nel mondo reale. Il primo tipo di teologia coinvolge studiosi che parlano ad altri studiosi; il secondo tipo riguarda il superamento della divisione fra il pensiero accademico e i credenti che si inginocchiano nei banchi di una chiesa o pregano nelle moschee e nei templi.

Una teologia di pace potrebbe essere astratta, idealistica ed accademica o potrebbe essere pratica, applicata e realistica. Dal mio punto di vista una teologia di pace ha bisogno di essere pratica se deve rivolgersi alle sfide e alle problematiche reali a cui vanno incontro i portatori di pace.

Una teologia di pace, se dev’essere di una qualche utilità, non può permettersi di essere troppo pia, affermando senza prove, ad esempio, l’utilità della religione nel processo di pace. Le persone di fede che ignorano l’accusa secondo cui la religione è una delle principali cause di guerra rischiano che la loro voce sia a sua volta ignorata se non sanno rispondere a questa accusa. Avendo analizzato i conflitti in cui la religione ha un ovvia presenza – specialmente Irlanda de Nord, Bosnia e Israele-Palestina, io ritengo che la religione non ha causato nessuno di questi conflitti, ma è stata chiamata in causa per continuare a fomentare le ostilità. Tutti questi tre casi hanno alle loro radici rivalità nazionalistiche e ingiustizie. Tuttavia, anche se la religione non è una delle cause principali o dirette del conflitto, deve comunque rispondere a qualcosa se è così facilmente chiamata in causa per alimentare odio e violenza.

Parlando di religione qui mi riferisco non a una singola religione, quale la mia stessa religione cristiana, ma piuttosto alle aspirazioni religiose della società. C’è una richiesta crescente di estendere la teologia oltre gli stretti confini di una religione per andare verso un coinvolgimento dell’eredità religiosa di tutti gli uomini. Se la pace mondiale comporta il riconoscimento del valore e della dignità e del diritto alla libertà e giustizia di tutti, una teologia di pace deve indirizzarsi a tutta l’umanità. Solo una teologia che includa tutte le fedi che alimentano la vita degli uomini può attendersi un’attenzione universale.

Il problema delle storie di violenza

I miei fratelli cristiani sono spesso colpevoli di ipocrisia sull’argomento della violenza quando puntano il dito contro altre religioni non riconoscendo che anche noi abbiamo una storia violenta. I cristiani furono un gruppo illegale e perseguitato fino alla conversione di Costantino I (288-337) che sostenne e rafforzò la chiesa. Prima di Costantino, molti se non tutti i cristiani erano pacifisti, seguaci di un maestro che aveva chiamato beati i portatori di pace. (Matt. 5-9). Essi rifiutavano di combattere. Dopo Costantino fu avanzata la richiesta di un unico credo per la chiesa di modo che potesse servire come unica religione per l’impero sotto la guida dell’imperatore. In breve coloro che non erano d’accordo con la dottrina ufficiale, si trovarono esiliati, privati delle loro cariche o persino condannati a morte. La chiesa sviluppò presto la teoria della guerra giusta che rese la guerra accettabile come strumento dello stato verso il quale la chiesa era non solo alleata, ma servile. La teoria della giusta guerra emerge negli scritti di Ambrogio (340-397) e Agostino (354-430). Ambrogio era stato un ufficiale romano. In seguito, durante le crociate, la chiesa si spinse oltre e benedì la guerra come un fatto positivo, gli infedeli vennero trucidati e i loro beni requisiti dalla chiesa stessa. Fu stabilito l’ordine militare.

L’evangelizzazione cristiana è stata generalmente pacifica in tutta la storia. Tuttavia i cristiani hanno usato anche violenza per imporre la fede. In numerose occasioni gli ebrei si trovarono di fronte alla scelta fra conversione o morte. Molti scelsero la morte, procurandosela spesso con le proprie mani (per esempio in Spagna nel 1391). Re Olaf di Norvegia usò “ogni arma: adulazione, inganno, persuasione e, quando tutte queste fallivano, pura sopraffazione” per convertire il suo popolo. “In molti casi” dice Neill, quando le persone “comprendevano che il re era pronto a conficcare la sua religione giù nelle loro gole con la punta della sua spada, vedevano la ragione”. Dopo tutto Gesù aveva detto a Pietro di riporre la spada, non di buttarla via ed egli disse anche “Non son venuto a portare la pace, ma la spada” (Lc. 12:51). Il pacifico Gesù divenne anche violento quando rovesciò i tavoli dei mercanti nel tempio.

Scritture violente

Il problema delle scritture è così serio che una teologia di pace che fallisse nel confrontarsi al riguardo sarebbe fondamentalmente inadeguata. Lo storico delle religioni Jack Nelson Pallmeyer pensa che la soluzione al problema delle scritture violente è guardare alle scritture come scritti umani. Perciò uomini violenti, facendo Dio a loro immagine, hanno convenzionalmente dipinto Dio come un Essere che approva la violenza contro i loro nemici. Il problema è che milioni di hindù, ebrei, cristiani e musulmani non credono che le loro scritture sono frutto dell’uomo, ma sono rivelazioni divine. Un altro problema a questo riguardo è che esso lascia aperta la possibilità che tutto ciò che diciamo riguardo a Dio è concepito umanamente, che tutta la teologia è un discorso umano. La rivelazione, da una prospettiva teologica, ci fornisce una verità divina riguardo a Dio che ci può guidare nel determinare se quello che deduciamo riguardo a Dio, fondandoci sulla ragione e sulla natura, è vero o falso.

Spesso i cristiani proclamano che il Cristianesimo è una religione di pace, e lo confrontano con l’Islam, visto come una religione della spada. Tuttavia i cristiani hanno una storia di guerre religiose le cui radici possono già rintracciarsi al tempo dell’imperatore Costantino (288-337). Durante le crociate la chiesa andò oltre e benedì la guerra contro gli infedeli come un fatto positivo e in numerose occasioni costrinse alla conversione sotto la minaccia di morte. Da parte loro i musulmani non negano che la guerra fu usata per espandere il territorio islamico. Giusto o sbagliato, si credette che la guerra era necessaria a far progredire la volontà di Dio. I musulmani negano comunque che le persone siano state convertite con la forza, facendo una distinzione fra l’espansione territoriale e lo sviluppo dell’Islam come fede. Naturalmente i re e i dominatori cristiani hanno anch’essi acquisito degli imperi a volte con la benedizione papale.

Recentemente, tuttavia, l’Islam è stato associato così tanto con la guerra e con il terrorismo che per molti osservatori il terrorismo ha assunto una faccia islamica. Tuttavia atti di terrorismo sono portati avanti anche dai cristiani nell’Irlanda del Nord e in Spagna e dagli hindu nello Sri Lanka. Perciò i musulmani non sono le sole persone religiose ad essere coinvolte nel terrorismo. Guardando a questi attacchi forse una differenza significativa è che alcuni terroristi musulmani giustificano i loro atti citando le scritture. Almeno due versi coranici, 9:5 e 9:29 sono ampiamente citati per giustificare la violenza intenzionale e indiscriminata. Sfortunatamente molti altri versi, quali 2:217 e 22:39-40, che non si possono interpretare in questo modo, sono menzionati raramente.

La violenza, che sia stata perpetrata dai cristiani, dai musulmani, dagli ebrei, dagli hindu, dai buddisti o comunque anche da chi non professi nessuna fede, ha rappresentato una piaga sull’esistenza umana. Che le persone religiose siano state colpevoli di violenza e inumanità sottolinea semplicemente l’universale fallibilità umana e non discredita gli ideali religiosi di pace, porta solo testimonianza dei limiti umani nel confrontarsi con questi ideali.

Il principio della pace

La mia percezione è che la Bibbia, il Corano e in effetti tutte le Scritture contengono un principio più elevato, il principio della pace. E questa è la preoccupazione finale di queste Scritture. Nessun passaggio descrive lo scopo finale di Dio come un mondo di guerra, di conflitto e di ingiustizia. Quando parlano del futuro che Dio desidera per il mondo, le Scritture esaltano la pace. La descrizione della fine dei tempi nella Bibbia ebraica contiene le famose parole che affermano che le spade saranno trasformate in aratri e le lance in falci (Is. 11:6-9; Mic. 4:3), mentre il Corano descrive l’Islam come il “mattone della pace” e i musulmani come coloro che fanno ciò che è giusto e si astengono da ciò che è sbagliato (10:25; 3:110). Poiché l’umanità abbraccia la pace e la riconciliazione di tutte le cose di Dio, la creazione sarà restaurata alla sua originale perfezione.

Il più alto principio di pace che è senza dubbio la meta finale dello scopo di Dio presentato dalle Scritture corrisponde a ciò che molte persone credono sia la condizione ideale per la vita dell’uomo. Anche la religione cinese vede la stabilità e l’unità come l’ideale più elevato. Nel Confucianesimo: “alla fine la vittoria senza spargimento di sangue è l’abilità più grande” (Thompson, 124). Le nostre coscienze, che hanno collettivamente ispirato documenti quali la Carta delle Nazioni Unite, attestano che la pace è il principio più alto.

Tuttavia ci sono voluti molti secoli per arrivare alla nostra comprensione contemporanea della pace. Anche nei tempi antichi esistevano nozioni di pace, tuttavia la pace era acquisita da un gruppo che dominava gli altri. La Pax Romana e persino la più recente Pax Britannica fu imposta con la forza. A differenza della pace come intesa nella Carta delle Nazioni Unite, la loro “pace” non includeva il sostegno ai fondamentali diritti umani, la dignità e il valore di ogni persona, la parità dei diritti fra uomini e donne o la promozione del progresso sociale, e migliori standard di “vita in una libertà più grande.” Tali libertà non esistevano e molte persone si sentivano oppresse.

Recenti affermazioni sul significato della pace globale come il ‘Commitment to Global Peace firmato da leaders spirituali e religiosi di tutto il mondo al Summit del millennio patrocinato dalle Nazioni Unite nell’Agosto del 2000, ha esteso il concetto di pace per abbracciare l’ambiente naturale, chiamando i governi e tutte le persone di buona volontà a collaborare nel prendersi cura “del sistema ecologico della terra e di tutte le forme di vita.” La pace nel suo senso più pieno coinvolge la riscoperta della dimensione spirituale della vita umana e planetaria. Pace significa che l’umanità lavora insieme - e non contro - la Terra e il Creatore della Terra per sostenere e nutrire e non per danneggiare e distruggere. La pace comporta la scoperta dell’unità essenziale dell’umanità.

La verità più grande, che non siamo separati, ma siamo parte della Terra è stata per lungo tempo l’insegnamento delle religioni tradizionali, ma è stata molto ignorata a causa dell’avidità degli uomini e delle donne. Troppo spesso i cristiani hanno considerato la Terra come una risorsa limitata perché alla fine sarà distrutta. Il principio più elevato afferma che la terra, una volta restaurata,continuerà a fiorire.

La Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite afferma che lo sradicamento della povertà è una condizione della vera pace. La comprensione olistica di pace è in sintonia con la meta delle Scritture ma non si può dire che sia stata messa molto in atto nel corso della storia umana, che ha piuttosto visto la pace come un’assenza di guerra conquistata da un dominio militare o da un potere politico. Questa visione più grande di pace è contenuta nelle Scritture, ma ci sono voluti secoli prima che l’umanità comprendesse la visione biblica e coranica.

La Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sono, a mio parere, fra i più nobili documenti finora scritti dalla mano dell’uomo. L’idea che qualcosa, che possiamo definire coscienza umana collettiva, si sia evoluta, è derivata, naturalmente, da G.W. F. Hegel (1770-1831) così com’è nel concetto di Francis Fukuyama della “fine della storia”. Fukuyama fa rilevare che sfortunatamente il pregiudizio contro Hegel causato dalla stretta associazione fra Hegel e il Marxismo (altri aggiungono il totalitarismo del 20° secolo) non fa vedere alle persone l’importanza del suo pensiero. Fukuyama sostiene che la democrazia liberale rappresenta il vertice della conquista umana nella sfera politica e alla fine trionferà. Questo trionfo, egli crede, può darsi che non porti la fine di tutti i conflitti; tuttavia è verosimile la loro diminuzione e le relazioni internazionali si occuperanno di: “risolvere problemi tecnici, preoccupazioni ambientali e soddisfare specialistiche richieste dei consumatori”.

Il principio più elevato testimoniato dalle Scritture corrisponde pertanto ad aspetti del pensiero contemporaneo. Gli sviluppi nel mondo materiale, in questa visione, sono portati da un precedente sviluppo nel regno della consapevolezza e delle idee. In questo contesto la democrazia liberale non dovrebbe essere confusa con il lassismo morale o la permissività prevalente nella società occidentale; piuttosto essa si riferisce a quelle società che permettono il governo del popolo da parte del popolo e per il popolo; che permettono il libero scambio e la collaborazione con altre democrazie per un comune beneficio.

Il rispetto di Dio per la sua creazione

Lavorando con materiale umano e rispettando la libertà umana, Dio sceglie di lavorare con l’umanità per quello che l’umanità è realmente. Dio entra nella storia intervenendo nella vita di coloro che sceglie. In un mondo di violenza, Dio deve trattare con la violenza. Fino a che l’umanità non era pronta ad accettare la verità di un principio più elevato, un principio inferiore, quello di guerra come un bene condizionato, era necessario. Anche se accettiamo di non poter comprendere pienamente gli scopi imperscrutabili di Dio, potremmo accettare che se Dio ha approvato le guerre, queste erano necessarie come parte del piano di Dio, che crediamo sia il bene definitivo.

La guerra non potrà mai essere il bene più grande. I cristiani e i musulmani e gli ebrei, gli hindu e gli altri che hanno cercato di giustificare la violenza in termini religiosi si sono, molto semplicemente, sbagliati. Come dice Thompson, persino dei capi buddisti sono stati sanguinari quanto i loro vicini hindu e diversi gruppi buddisti “si sono conquistati e trucidati fra loro.” Un’umanità matura bandirà la guerra mettendola nel museo degli errori umani e abbraccerà la non violenza come l’unico mezzo per riconciliare le differenze. La guerra porta vincitori e vinti e i vinti inevitabilmente vivono con risentimento la loro sconfitta e attendono l’opportunità di vendicarla. La violenza richiama sempre maggior violenza. Quando la non-violenza diventerà la norma della strategia per la risoluzione dei conflitti, l’umanità comincerà ad assumersi la responsabilità di restaurare il mondo alla sua perfezione originale che è la meta della storia.

Come potrebbe essere il futuro

Questa teologia è pratica perché il mondo che immagina può essere raggiunto e potrebbe essere prefigurato politicamente dalle democrazie liberali di Fukuyama. Le democrazie liberali praticano il libero commercio con le altre democrazie liberali; quando fornitori e consumatori si fideranno gli uni degli altri, proteggeranno gli interessi reciproci. Ciò che desidero per me diventerà ciò che desidero per il mio fornitore o il mio compratore: una casa dignitosa, un lavoro significativo, del cibo da mangiare, la possibilità di accedere all’istruzione e alle cure mediche. Anche una devoluzione del governo verso il basso fino alle comunità locali, per confrontarsi con le questioni dello standard di vita e verso l’alto fino a federazione mondiale che tratti questioni globali come l’ambiente e il mantenimento della pace, cambierebbe il modo in cui il mondo lavora. Le comunità locali autonome avrebbero molti vantaggi: consisterebbero di persone che si conoscono fra di loro e potrebbero stabilire alleanze con comunità simili andando oltre le tradizionali barriere nazionali. Inoltre, con la devoluzione del potere, gli interessi egoistici giocherebbero un ruolo meno significativo di quanto non avvenga nelle politiche nazionali.

Società più localizzate diventeranno più coscienti della realtà dell’interdipendenza umana, della verità che se viviamo più semplicemente, consumando meno, altri potrebbero essere in grado semplicemente di vivere. Come disse Ghandi: “In questo mondo c’è a sufficienza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di tutti.” Le persone comprenderanno che non hanno bisogno di tutti gli oggetti materiali che la propaganda commerciale offre loro, che mangiare meno è più salutare, che la vita umana non è solo esistenza fisica, ma ha anche una dimensione spirituale. E’ qui che le percezioni religiose possono guadagnare un nuovo ascolto.

La cultura materiale che attualmente domina e divide il mondo è anche una cultura individualistica. Essa mette “me” e “i miei desideri” al centro a spese degli altri. Il potere di grandi corporazioni che pongono il profitto al di sopra della moralità verrà dissipato quando le comunità locali sceglieranno di assumere una posizione morale contro il materialismo rampante e i valori permissivi che denigrano l’impegno e il rispetto per se stessi.

La centralità delle unità familiari, onorate dalla grande maggioranza, se non da tutte le religioni, potrebbe essere riaffermata quando le persone comprenderanno il vantaggio di vivere in comunità dove esistono condivisione e cura reciproca piuttosto che in realtà isolate che accumulano sempre più oggetti per un uso egoistico personale. La consapevolezza spirituale può incoraggiare le persone a rivolgersi alle religioni come posti in cui c’è tradizionalmente la saggezza spirituale. Salendo su un più alto livello di esistenza possiamo anche diventare ricettivi alle nuove verità riguardanti l’umanità e alla relazione dell’uomo con Dio. Specialmente la religione cinese vede il bene comune come una preoccupazione centrale e considera la famiglia come un microcosmo della società.

Il libero flusso di capitali metterebbe in grado chiunque di comprare i servizi di cui ha bisogno e le grandi differenze economiche fra le nazioni si auto-regolerebbero verso una più equa distribuzione del capitale. Un tale ordine mondiale potrebbe ridurre il ruolo dominante della nazione-stato; anche la religione, avendo portato unità fra l’uomo e Dio, vedrebbe ridotta la sua influenza. Questo è ciò che intendono alcune religioni quando affermano che Dio, in futuro, dimorerà con noi. Se Dio dimora con noi, il ruolo della religione come mediatore fra noi e Dio diventa superfluo. Coloro che pensano che dovremo passare attraverso terribili battaglie prima che questo tipo di mondo diventi realtà tendono a credere che “il nuovo cielo e la nuova terra” saranno una creazione diversa, spirituale e probabilmente non materiale. Solo l’intervento divino può creare questa realtà.

La descrizione del mondo come una confederazione di molte comunità locali in cui persone di razze e fedi differenti collaborano in unità autonome assicurando così l’appagamento di tutti i bisogni basilari e dove vi sia anche una reale opportunità per le persone di fiorire intellettualmente, spiritualmente e culturalmente, io credo che possa essere costruita dalle mani dell’uomo. La Bibbia raramente, se non mai, predice eventi reali. Il nostro futuro non segue un piano inevitabile, ma dipende dall’andamento della collaborazione Dio-uomo; perciò vi sono diverse possibilità, non una sola. Il futuro potrebbe essere violento, se questo è ciò che scegliamo, ma può essere pacifico se accettiamo la nostra collaborazione con Dio che si aspetta che noi ci assumiamo le nostre responsabilità. La perfezione di Dio, come quella dell’universo, dipende da quanto noi permettiamo a Dio di realizzare il suo pieno potenziale. Nel crearci Dio prese il rischio che noi potessimo ribellarci a Lui. La perfezione di Dio che svuota se stesso è il potere divino, non la realtà divina; la completa realizzazione della realtà divina dipende dalla nostra collaborazione. Fino ad oggi la creazione geme in travaglio (Rom. 8:22).

2. Jack Nelson-Pallmeyer, Is Religion Killing Us: Violence in the Bible and the Quran (New York: Continuum,2003).

3. Mi avvicino qui a quanto scritto da Benjamin Barber originariamente nell’articolo “Jidah vs McWorld” pubblicato sull’ Atlantic Monthly (marzo 1992) e successivamente in un libro. Barber parla di “un’unione confederale di comunità parzialmente autonome più piccole degli stati-nazione, legate insieme da associazioni e mercati più grandi degli stati-nazione, partecipative e autonome alla base in questioni locali e rappresentative e affidabili a livello più elevato.”

Clinton Bennet è attualmente professore associato all’ Unification Theological Seminary di Barrytown, New York. Quale ministro della Chiesa Battista è stato missionario in Bangladesh, cappellano universitario, pastore associato di una congregazione multirazziale, membro di comitati consultivi del governo e consulente del Consiglio Mondiale delle Chiese con una specializzazione per le relazioni cristiano-musulmane. Autore di sei libri, è anche membro del Consiglio Mondiale dell’UPF ed è un Ambasciatore di Pace. E’ sposato con Rekha, un’operatrice sociale originaria del Bangladesh.

The Paradox of our Time

The paradox of our time in history is that we have taller buildings, but
shorter tempers; wider freeways but narrower viewpoints.
We spend more, but have less; we buy more, but enjoy it less.
We have bigger houses and smaller families; more conveniences but less
time.
We have multiplied our possessions, but reduced our values.
We talk too much, love too seldom and hate too often. We’ve learned how to
make a living, but not a life; we’ve added years to life, not life to years.
We’ve been all the way to the moon and back, but have trouble crossing the
street to meet the new neighbor.
We have more degrees, but less sense; more knowledge, but less judgment;
more experts, but more problems; more medicine, but less health.
We drink too much, smoke too much, spend too recklessly, laugh too little,
drive too fast, get too angry, too quickly, stay up too late, get up too tired,
read too seldom, watch TV too much and pray too seldom.
We have conquered outer space, but not inner space. We’ve done larger
things, but not better things.
These are times of fast food and slow digestion; tall men and short character;
steep profits and shallow relationships.
These are the times of world peace, but domestic warfare; more leisure, but
less fun.
These are days of two incomes, but more divorce; of fancier houses, but
broken homes. These are days of quick hips, disposable diapers, throw away
morality, one-night stands, overweight bodies and pills that do everything
from cheer to quiet, to kill.
We’ve cleaned the air, but polluted the soul. We’ve split the atom, but not
our prejudice. We write more, but learn less. We plan more, but accomplish
less. We’ve learned to rush, but not to wait. We build more computers to
hold more information to produce more copies than ever, but have less
communication.

Le libertà fondamentali

di Giorgio Gasperoni

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Carta delle Nazioni Unite hanno lo stesso fine: la realizzazione della Pace e della formazione di cittadini del mondo. Tuttavia, come afferma la Dott.ssa Eva Adela Latham, Presidente di Human Rights Teaching International in Olanda, troppe persone hanno elaborato delle false giustificazioni per escludere gli altri dalla dignità umana.
I problemi del mondo hanno una radice spirituale ed etica come afferma il preambolo della Carta di Fondazione dell’Unesco “poiché le guerre hanno inizio nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”.
I Diritti Umani riconoscono che tutte le persone sono create uguali ed hanno pari opportunità e dignità: Dag Hammarskjöld, il secondo Segretario Generale delle Nazioni Unite, il 22 Dicembre 1953 dichiarava “…Il nostro lavoro per la Pace deve iniziare all’interno della sfera privata di ognuno di noi. Per costruire un mondo senza paura, dobbiamo essere senza paura. Per costruire un mondo di giustizia, dobbiamo essere giusti. E come possiamo lottare per la libertà se non siamo liberi nella nostra propria mente? Come possiamo chiedere agli altri di sacrificarsi se non siamo disposti a fare lo stesso?”
Guardando indietro nella storia, la società feudale del Medio Evo ha dato vita a pensatori che hanno ispirato gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità per questo mondo, incentrati sull’Umanesimo. Se il Cristianesimo medioevale avesse capito il concetto completo di libera volontà, le parole Rivoluzione e Riforma non sarebbero state necessarie. Non avendo fatto questo, il movimento del cambiamento è venuto dal mondo esterno alla religione. Quel nuovo movimento lo conosciamo con il nome di Rinascimento.
Insistendo, però, solo sulla libertà secolare invece di conquistare l’ideale della completa libertà, si è venuti a perdere gradualmente le libertà autentiche. I popoli hanno ripetutamente perso la completa libertà, anche se gli individui, le famiglie, la società e le nazioni hanno asserito il loro diritto alla libertà. Ciò che le persone insistono nel sostenere, oggi, non è quella libertà stabile e duratura. Ad esempio, tutti coloro che sono andati verso un individualismo esasperato si sono sempre più isolati. Questo è un dato di fatto innegabile.
Se non si entra in armonia con le leggi della natura, anche se le persone cercano la libertà, andranno sempre più verso il culmine della mancanza di libertà. Più si insiste in quella direzione, più si creano delle categorie limitate di libertà.
I contenuti delle relazioni in questa sezione ci aiutano a riflettere sulla situazione attuale del nostro mondo. Vorrei evidenziare che il messaggio che ne scaturisce è che è necessaria una grande rivoluzione se vogliamo unire il mondo e renderlo libero, ma deve essere prioritariamente una grande rivoluzione del carattere umano. Conoscenza, soldi o potere non possono portare questa contro-rivoluzione del carattere. La Libertà non viene dall’avere diverse possibilità di scelta ma dall’imparare a fare le scelte giuste.

Progresso e Responsabilità Umana

di Giorgio Gasperoni

Progresso è un termine che è stato ed è usato molto spesso da tutti. Ma la domanda che viene da porci altrettanto spesso, è: Quale progresso?
Chung Hwan Kwak, presidente internazionale dell’UPF (Federazione Universale per la Pace) ci ricorda nel suo articolo che l’idea di Progresso Responsabile coinvolge molti fattori cruciali e che deve necessariamente passare per la più completa realizzazione della libertà e del potenziale umano. Per poter essere liberi di agire è necessario che ci sia una libera volontà la quale è un’espressione della mente. Poiché la mente di una persona in armonia con le leggi della natura non può agire al di fuori di esse, ci potrà essere altresì una vera libertà d’azione solo in presenza di una reale consapevolezza della persona.
Un altro aspetto importante da considerare è la responsabilità che deve sempre accompagnare una persona veramente libera. Gli esseri umani possono perfezionarsi soltanto, quando potranno realizzare la propria responsabilità basata sulla libera volontà. Inoltre, non potrà esistere responsabilità senza il raggiungimento di qualche risultato concreto. Quando gli esseri umani esercitano la loro libertà e applicano la propria capacità di agire, cercheranno sempre di perseguire dei risultati concreti quali obiettivi di vita.
La responsabilità ci permette di perfezionare il carattere. Questo ci permette di entrare in risonanza con la saggezza della natura e in un rapporto empatico con il resto del genere umano.
In quest’ottica, acquista molta importanza l’articolo della Professoressa Forcella sulla prevenzione degli incidenti stradali correlati all’uso di sostanze Psicoattive denominato “Progetto on the Road”. Quando le persone realizzano consapevolmente le proprie responsabilità, tutte le libertà vengono a realizzarsi.

Delegazione Israeliana in Italia e San Marino

Incontro con rappresentanti di San Marino
di Giorgio Gasperoni
Un primo passo per la creazione di rapporti di cooperazione tra le amministrazioni locali italiane ed Israele, è stato fatto nella settimana che va dal 12 Marzo al 17 Marzo 2007, La delegazione era composta da: Onorevole Talab El Sana, Presidente del gruppo parlamentare Ra'am-Ta'al; Hod Ben Zvi, Segretario Generale UPF Israele (Universal Peace Federation) e consulente WFWP Israele; Shuki Yariv Ben-Ami, presidente della World Media Association, sezione Israele.

Delegazione Israeliana a Bergamo


BERGAMO (gam) Tre importanti personaggi del mondo politico e culturale hanno fatto tappa, durantequesto “tour”, anche a Bergamo, accolti da alcuni rappresentanti della sezione orobica dell’UPF. Così abbiamo potuto intervistare Shuki Y. Ben Ami, ebreo, insegnante universitario di comunicazione di massa ed educazione civica presso il Mitchell College e di ebreo moderno presso la facoltà di teologia dell’Università di Treviri in Germania. Inoltre insegna teologia cristiana e cristianesimo primitivo presso l’Emil Frank Istitute di Gerusalemme. Nella delegazione poi c’era l’onorevole Talab El Sana, di religione islamica, presidente del gruppo parlamentare di centrosinistra Ram’am-Ta’, al suo quinto mandato è stato anche presidente di varie commissioni parlamentari. Infine Hod Ben Zvi, anche lui ebreo, ricercatore presso l’Istituto per l’innovazione nell’educazione all’Università ebraica di Gerusalemme e segretario generale dell’UPF Israele. Tre personaggi che vivono da vicino la drammatica situazione di Israele e Palestina. Abbiamo iniziato la nostra intervista con El Sana, del gruppo di centrosinistra Ra’ am-Ta’, attualmente all’opposizione nel parlamento israeliano. “Il nostro partito – ci ha spiegato – è una formazione che si batte per la pace e per l’uguaglianza.

CONFLITTO DI EMOZIONI?

di CARLO ALBERTO TABACCHI

La paura in Europa e negli Stati Uniti, l'umiliazione nei paesi arabi e musulmani, la speranza in Cindia (Cina ed India) s’intrecciano sempre di più in una futura convivenza mondiale.


Un articolo (che divenne poi un "cult") del famoso politologo e storico statunitense Samuel Huntinghton nell'estate del 1993 trattava di un possibile scontro di civiltà ("The clash of civilitazion"); recentemente è apparso a cura di Dominique Moisi, consulente dell'Istituto francese di relazioni internazionali di Parigi, un brillante articolo su una possibile contesa di emozioni tra gruppi di paesi.
Sinteticamente, il mondo occidentale vive in una civiltà di paura, il mondo arabo musulmano è intrappolato in una realtà di umiliazione mentre alcuni grandi paesi dell'Asia in un contesto di speranza.
L'Occidente, Europa e Stati Uniti, risulta più diviso che coeso, la comunità musulmana più unita ma spesso rigurgitante di rabbia, l'unico beneficiario è l'asse Cina India, concentrato a crearsi un futuro migliore. Ovviamente tali filosofie o comportamenti, forse un po' schematici, non sono universali in ogni regione.
Europa e Stati Uniti vivono in una civiltà comune di timore e con gradi diversi: ansia e preoccupazione interessano la mancanza di identità in un pianeta sempre più complesso e variegato.
Esiste in Europa l'inquietudine di essere invasi da torme di immigrati e di poveri, provenienti principalmente dal Sud della terra. Inoltre, dopo le stragi di Madrid
(2004) e di Londra (2005), gli europei hanno compreso che i loro paesi non sono solo targets dei terroristi ma anche possibili basi. Poi, sussiste la paura di essere abbandonati economicamente: per molti europei, la globalizzazione si è identificata con la destabilizzazione di un certo benessere, tagli occupazionali, incertezze future. E sono tormentati dal timore di diventare un grande museo all'aria aperta, dove turisti e pensionati convergono, viaggiano e vivono a scapito di creatività ed innovazione tecnologica. Alla fine si potrebbe arrivare ad un'Europa "governata" da una potenza, anche amica, quale gli Stati Uniti o "governata" da un soggetto senza volto, come la Commissione Europea (anche se più difficile).
Ciò che unisce tutti questi timori è il senso della perdita del controllo del proprio territorio, sicurezza, identità, in poche parole di un unico destino.
Forse, gli Stati Uniti vivono più "spensierati", anche se l'invasione ispanica si espande, il deficit economico cresce prepotentemente e il tragico ricordo dell’11 settembre resta sempre attuale.
Occorre ricordare che mentre l'Europa viveva nel Medio Evo (in una sorta di limbo), l'Islam era nel pieno del suo Rinascimento; quando cominciò il fiorire del Rinascimento occidentale, il mondo musulmano si spegneva inesorabilmente. Una prova di tale decadimento si è avuta con la nascita dello stato d’Israele (1947): il conflitto non risolto tra Gerusalemme ed i suoi vicini si è trasformato da una cultura dell'umiliazione ad una forma di rabbia, di odio, di violenza aperta. Paradossalmente, il contrasto religioso tra musulmani ed ebrei si è acuito tra Islam ed Occidente in senso lato.
La recente guerra in Libano (2006) ed il perdurare del conflitto in Iraq (2003 ... )hanno esacerbato gli animi e le menti, con l'ascesa degli estremisti sciiti e dei loro alleati. II vuoto è in parte dovuto a visioni diverse: mentre le società in Europa stanno diventando secolarizzate, la valenza della religione nella vita quotidiana nella comunità araba sta aumentando.
La crescita di Cina ed India risulta imperiosa anche se non omogenea: in Cina specialmente il sud e la costa hanno tassi di sviluppo formidabile mentre l'India cerca di cooperare diplomaticamente con Washington e di stringere affari con l'Europa. Per superare lo scontro di emozioni, la priorità dell'Occidente è riconoscere la natura della minaccia che il mondo musulmana pone all'Europa stessa e agli Stati Uniti. Negare l'esistenza dell'intimidazione o rispondere in maniera sbagliata sono scelte alquanto pericolose. Così come né la pacificazione né la soluzione militare da sole possono essere sufficienti. Bisogna comprendere come instillare un senso adeguato di speranza e di progresso nelle società musulmane per far sì che lo sconforto e rabbia non si trasformino in armi radicali e violente.

VERSO UN PROGRESSO GLOBALE

Chung Hwan Kwak

L’idea di ‘progresso responsabile’ di cui voglio parlare coinvolge molti fattori cruciali che sono pre-condizioni per una pace duratura. Generalmente quando si parla di progresso, si pensa al miglioramento delle condizioni di vita, ma in realtà esso deve anche coinvolgere la crescita verso la più completa realizzazione della libertà e del potenziale spirituale dell’uomo. Gli esseri umani progrediscono dapprima attraverso l’evoluzione della coscienza morale nel loro processo di crescita verso l’età adulta, successivamente attraverso la creazione di famiglie che permettono lo sviluppo dell’amore e la maturazione del carattere e alla fine attraverso un impegno sociale responsabile.

Storicamente il progresso umano è stato indebolito dalla competizione per le risorse e dallo sfruttamento attuato da alcuni uomini, nei confronti dei propri simili, per un beneficio personale. Il progresso dei colonizzatori europei in America nei secoli 18° e 19°, per esempio, fu portato avanti a spese dei nativi americani che furono cacciati dalle loro terre e decimati dalle malattie portate dal Vecchio Mondo. Il progresso frutto delle nuove tecnologie nel 20° secolo è anch’esso arrivato a spese della degradazione dell’ambiente e dell’emarginazione di tantissimi milioni di persone nel mondo.

Oggi è diventato più chiaro che se il progresso è a beneficio solo di una ristretta cerchia di persone non può essere un obiettivo soddisfacente. La nostra coscienza ci ricorda che a una maggiore abbondanza e a un ulteriore miglioramento del nostro confort e dei nostri vantaggi, non può essere dato il nome di ‘progresso’ quando la povertà, la fame, le discriminazioni, le gravi carenze educative, la mancanza di norme igieniche e di assistenza sanitaria affliggono, come oggi, la vita di milioni di persone.

Allo stesso modo il benessere dell’ambiente naturale non può più essere sacrificato nel nome di un presunto progresso. I consumi sproporzionati da parte delle società ricche insieme all’inefficiente programmazione e alle strutture inadeguate di molti paesi in via di sviluppo, stanno causando uno sfruttamento senza precedenti delle terre, dei corsi d’acqua, degli ecosistemi e persino degli oceani. Recentemente, negli Stati Uniti, i presidenti di 39 università evangeliche, leaders cristiani come Richard Cizak e Rick Warren e leaders di gruppi cristiani quali l’Esercito della Salvezza, hanno proclamato che la cura dell’ambiente è una priorità spirituale. Contrariamente all’opinione di molte persone questa non è una presa di posizione recente da parte delle persone di fede, anche se le religioni hanno mancato nel loro compito di tutori della terra.

Dalla prospettiva della Federazione Universale Per La Pace, soddisfare i basilari bisogni umani è un presupposto fondamentale della pace. Tuttavia i basilari bisogni umani non sono solo fisici, sono anche morali e spirituali. I miglioramenti materiali che contrastano con la dignità dell’uomo, che avviliscono la libertà, che destabilizzano la famiglia o falliscono nel rispetto dell’ambiente, sono molto lontani dallo scopo finale.

Le fedi del mondo sono depositarie della coscienza collettiva dell’umanità e debbono avere un ruolo vitale nel guidare la nostra visione di progresso nel 21° secolo. Gli strumenti governativi, così come le innovazioni sviluppate dalla società civile sono importanti motori per l’avanzata del benessere umano. Il vero progresso può essere raggiunto solo quando gli sviluppi politici, economici e tecnologici vengono guidati da una visione capace di abbracciare tutta l’umanità e capace di offrire cura e protezione alle risorse naturali donateci da Dio.

Tristemente molte risorse umane che potrebbero essere mobilitate per sostenere una visione globale di progresso sono ostacolate da barriere religiose, razziali, culturali e nazionalistiche. Con una visione di costruire la pace tramite il vivere per il bene degli altri, al di là di ogni barriera, la UPF e un crescente numero di Ambasciatori di Pace offrono una realistica speranza per acquisire un progresso guidato dalla coscienza.

Progetto “On The Road”

PEER EDUCATION : PREVENZIONE DEGLI INCIDENTI STRADALI CORRELATI ALL’USO DI SOSTANZE PSICOATTIVE

di M.C. Forcella

Dagli studi di epidemiologia risulta che una quota importante di incidenti stradali gravi e mortali, sia correlata ad uso ed abuso di alcol ed è evidente come nella Regione Veneto il fenomeno sia particolarmente rilevante tra i giovani.
Grazie al piano attuativo delle politiche sociali in ambito delle dipendenze la Regione Veneto ha delineato i fini operativi e le priorità di intervento ponendo particolare attenzione sulla prevenzione primaria. Quest’ultima viene sviluppata da tutte quelle parti sociali che mirano ad un’azione comune e che abbiano come oggetto del loro agire la tutela e la promozione della salute nel suo complesso. Si punta, quindi, ad interventi a medio-lungo termine che coinvolgano diverse realtà sociali e figure educative (genitori, insegnanti, educatori, psicologi, operatori socio-sanitari) e che, fin dalla loro pianificazione, investano direttamente i giovani del ruolo di protagonisti attivi.
Il progetto “ On the Road” si è articolato in tre anni e, facendo proprio il concetto di rete, ha individuato ed utilizzato le risorse dell’ambiente sociale già presenti sul territorio per portare a termine gli obiettivi prefissati; esso si è posto in continuità con altri progetti attuati negli anni precedenti quali il progetto Seneca, il progetto H due O, il progetto Friends ed il progetto ragazzi 2000, allineandosi infine ai progetti di “peer education” già implementati dal C.S.A ( ex Provveditorato) di Padova in alcune scuole superiori quali l’Istituto commerciale Calvi, il Liceo Cornaro e l’I.T. Scalcerle.
La creazione e il rafforzamento di una rete necessita di un fattore fondamentale quale è la continuità nell’azione di promozione di educazione alla salute: la prevenzione non può essere efficace se lasciata ad azioni sporadiche.
A questo proposito il progetto “On the Road” è stato sottoscritto da numerosi enti ed altrettanto numerose associazioni vi stanno collaborando: la Prefettura di Padova, le ACLI, il CSA, il CONI, L’Agenzia per le Tossicodipendenze, la Polizia Municipale, la Provincia di Padova, le ASL 17,14,15 ed dalle associazioni di genitori presenti nel territorio.
Le scuole Superiori che hanno aderito al progetto sono: l’ I.P.S.S.C.T. Leonardo da Vinci, l’I.P.S.I.A. T. Pendola-E.U.Ruzza, il liceo C. Marchesi-Fusinato,Maria Ausiliatrice, Euroscuola, Il Severi, il liceo Corsaro, il Valle e le Scarcerle per la città di Padova, il Pertini di Camposampiero, e il Cardano di Piove di Sacco, il Ferrari di Este.
Spostando ora l’attenzione sulle origini dei comportamenti a rischio nei giovani, va sottolineato come spesso si tenda a commettere l’errore di associare il consumo di sostanze psicoattive dei giovani con il più ampio concetto di “disagio giovanile” nel tentativo di attribuire a quest’ultimo una responsabilità causale unica così da dirigere gli interventi nella logica solo della riduzione del danno. E’ invece un dato di fatto come, basandosi sui risultati delle più recenti indagini scientifiche, venga riportato un quadro interpretativo assai diverso e più complesso. Infatti, l’instaurazione di uno stato di dipendenza da sostanze psicoattive dipende da due fattori principali: dall’accessibilità/disponibilità alle sostanze e quindi un mercato, molto attento e preparato rispetto al marketing, ed alla vulnerabilità della persona,determinata da fattori personali, caratteriali familiari e da fattori ambientali.
In quest’ottica il progetto “On The Road” persegue strategie di intervento non “sui giovani” ma “con i giovani” e fa riferimento ai programmi delle Life Skill e di Peer Education secondo le linee dettate

EMPOWERMENT E LIFE SKILLS

Il progetto on the Road si avvale dalla considerazione che i gruppi di pari si sviluppano spontaneamente, senza strutture fisse, senza impegni precisi e con un numero di componenti fluttuante. Dalla pubertà in poi il gruppo di pari ricoprirà un’importanza sempre in crescendo diventando, sopratutto nei casi di margimnalità sociale a volte, il solo e unico punto di riferimento per la crescita psico-sociale degli adolescenti.
L’opportunità educativa inserita all’interno di questo naturale fenomeno di aggregazione sociale giovanile offre diversi vantaggi, primo fra tutti la possibilità di operare all’interno di ambienti fisici e psicologici potenzialmente ricchi e fruttuosi, il secondo vantaggio è costituito dalla possibilità di incoraggiare e rivalutare abilità di vita fondamentali per affrontare le difficoltà della vita.
Trasversalmente ai punti sopra delineati si inserisce il concetto di sviluppo di abilità sociali e personali, consigliato dall’OMS (life skills) che risultano fondamentali per difendere le proprie posizioni di fronte a forti pressioni sociali negative. Queste sono abilità o competenze psico-sociali che, nella maggior parte degli studi, vengono individuate come centrali per la promozione della salute e del benessere dei giovani. Tra queste rientrano anche: la capacità di prendere decisioni e di risolvere i problemi, sviluppare un pensiero critico e creativo, comunicare efficacemente, sviluppare autoconsapevolezza, avere capacità empatica e di gestione delle emozioni e dello stress e la capacità di rafforzare l’autostima.

PEER EDUCATION

Il progetto “On The Road” focalizza quindi l’attenzione su fattori psico-sociali volti a favorire l’acquisizione di abilità sociali e personali orientate ad incrementare risorse quali: l’autostima, la capacità di reggere alle pressioni del gruppo, la capacità di comunicare, l’assertività, tutte caratteristiche che, al momento di scegliere se assumere o meno una sostanza psicoattiva possono portare l’individuo ad una maggiore responsabilità e consapevolezza del proprio agire .Ma tramite la peer education ci poniamo anche questi altri obiettivi:a)modificazione delle abitudini e degli atteggiamenti nei confronti delle sostanze psicoattive b)incrementare un atteggiamento prudente verso l’uso delle sostanze c)incrementare la responsabilità verso l’uso dei mezzi di trasporto, sopratuTto se correlati all’uso di sostanze d) favorire lo sviluppo di una gestione positiva dell’emotività ed incrementare la gestione del benessere.
A questo proposito la “Peer Education” costituisce un sistema educativo grazie al quale individui della stessa età, status e con esperienze simili, qualora adeguatamente formati, possono organizzare attività con i propri coetanei.
In sostanza la Peer education significa che persone con un interesse comune vengono istruite a sviluppare conoscenze e specializzazioni appropriate e a condividere queste conoscenze in modo da informare e preparare i propri coetanei e diffondere competenze a abilità simili all’interno dello stesso gruppo di interesse. Uno dei punti di forza del progetto è stato il FORMARE I FORMATORI quindi sono stati organizzati corsi di aggiornamento per gli insegnati e numerosi incontri di formazione e informazione per i genitori coinvolgendo direttamente le associazioni dei genitori. Nello specifico l’associazione Nuova Realtà, l’associazione amici del progetto Don Bosco, e La Federazione delle famiglie per l’unità e la pace nel mondo. Infatti per coinvolgere maggiormente i giovani è fondamentale la collaborazione dei docenti e delle famiglie creando una vera rete tra i tre poli fondamentali della scuola .giovani, docenti e famiglie. Questa modalità di intervento ha contribuito a rafforzare il dialogo tra gli adulti responsabili ed i giovani, ricco non solo di informazioni tecniche sulle droghe e i loro pericolo rispetto alla guida, ma anche ricco di spunti etici rispetto ai mercanti della morte. Con i giovani è stato infatti discusso molto il problema del narcotraffico e quindi la responsabilità individuale che tocca ogni consumatore di sostanze il quale si fa complice del mercato della morte. Infatti ricordiamo che i proventi delle droghe servono a finanziare molte delle guerre oggi presenti nel mondo, alimentando il commercio di armi. I giovani si sono dimostrati particolarmente sensibili a queste tematiche e si sono fatti portatori di una nuova etica in questo campo con i loro compagni , sia nelle classi che in numerose manifestazioni pubbliche organizzate tramite il progetto ON THE ROAD nella città di Padova.

ORGANIGRAMMA DEL PROGETTO

Formazione e supervisione scientifica di
progetto

Fase Descrizione Modalità / Tempi
I° Incontri con il Preside e gli insegnanti
1 per ogni scuola.
II° Incontri con gli studenti 2 interventi con l’intera classe;
7-10 ore di formazione con i Peer educator.
III° Corso di Aggiornamento
Articolato in tre giornate con operatori socio-sanitari, operatori del Privato Sociale, Enti Locali, Polizia Municipale di Padova e docenti.
IV° Incontro coi genitori Con associazioni dei genitori, rappresentanti di classe e rappresentanti d’Istituto.
V° INTERVENTO DEI GIOVANI a
CIVITAS Presenti la Ulss 14-15-16-17, gli Enti Locali, Presidi, associazioni del Privato Sociale e la Provincia di Padova.
VI° Happening e dibattito all’EXPO SCUOLA Si è tenuto alla Fiera di Padova
VII° Convegno finale al Liceo Cornaro Per una valutazione dei risultati del progetto.

Obiettivi generali del progetto On The Road

1 Modificare le abitudini e gli atteggiamenti nei confronti delle droghe.
2 Favorire lo sviluppo di una gestione positiva dell’emotività ed incrementare il benessere.
3 Incrementare un atteggiamento prudente verso l’uso di sostanze.
4 Incrementare il senso di responsabilità verso l’uso dei mezzi di trasporto in particolare se correlato all’uso di sostanze.

News UPF

La UPF nepalese lancia il giornale “Universal Times”

La Universal Peace Federation nepalese ha lanciato il bisettimanale bilingue (inglese e nepalese) Universal Times, in Kathmandu. Il primo numero, a colori, è comparso il 15 gennaio.
Il direttore, Bindu Raj Adhikari, ha affermato che il giornale sosterrà il processo di pace in corso nel turbolento regno himalayano. “Lo Universal Times desidera contribuire alla creazione di un Nepal pacifico”, ha detto il direttore Adhikari. “Il nostro giornale è indipendente; vogliamo ascoltare la gente, e formare una leadership, che guidi la nostra nazione come dei genitori guidano dei figli”.
La Universal Peace Federation assegna, a persone che si sono particolarmente distinte, il diploma di Ambasciatore di Pace; questo nelle oltre 180 nazioni in cui è presente, e chiede a tali persone di contribuire alla realizzazione della pace sulla base delle loro capacità. Attualmente nei 75 distretti del Nepal vi sono oltre 2.100 Ambasciatori di Pace.

Gli Ambasciatori di Pace dell’Honduras per i bambini senza casa

Gli A.d.P. dell’Honduras hanno dedicato una giornata ai bambini che vivono nel quartiere povero della capitale, conosciuto come la “Città della discarica”. I volontari hanno fornito cure mediche, cibo, ed una festa a sorpresa per quei bambini sfortunati. L’Honduras ha il tasso più elevato di tutto il Sud America di bambini che lavorano nelle discariche: circa 2.000 su una popolazione di soli 7 milioni di abitanti (dati UNICEF). Nella giornata di servizio gli A.d.P. hanno ricevuto la visita di Jorge Mahomar, una persona conosciuta come il “buon samaritano dei senzatetto”. Il governo honduregno ha recentemente assegnato a Mahomar il Primo Premio per il Volontariato. Toccato dalle difficili condizioni di quella comunità, egli sta lavorando per costruire un centro di assistenza per questi bambini che sarà pronto entro il 2007.

Il Presidente indiano Kalam invita i giovani a lavorare per la pace

Parlando al Festival Nazionale della Gioventù, il Presidente Kalam ha detto che l’incredibile forza dei giovani deve essere incanalata verso il lavoro per la pace globale, oggi che la comunità internazionale è dilaniata dal terrorismo e dai conflitti armati.
“Nel ventunesimo secolo, dovremmo conoscere lo scopo della vita”, ha detto il Presidente. “L’umanità sta vivendo un conflitto profondo al proprio interno; nell’ultimo secolo abbiamo avuto due guerre mondiali, terrorismo, conflitti a bassa intensità. Oggi, la metà della popolazione mondiale è formata da giovani, e questa è una forza che deve lavorare per l’avanzamento della pace”.
Egli ha poi stabilito gli obiettivi che la nazione asiatica deve porsi: raggiungere la trasparenza nell’amministrazione politica, la piena alfabetizzazione, la sostenibilità energetica. Ha anche riferito che il 54% della popolazione indiana vive al di sotto della soglia di povertà, e che queste persone possono uscirne se il volano della crescita – le infrastrutture, l’istruzione, l’acqua, l’energia, la creazione di posti di lavoro – subiscono una accelerazione.
“Ogni indiano deve giungere ad avere un titolo di studi universitari o comunque una qualifica accettabile a livello lavorativo”, ha detto, aggiungendo: “Il sistema del venture capital e la formazione all’imprenditoria devono mirare a creare più imprese, in modo tale che possa essere generata un’occupazione sempre maggiore e che ci siano più offerte che richieste di lavoro”.
Gli studenti hanno letto ad alta voce gli obiettivi del suo piano “Vision 2020”, ed hanno giurato di “stabilire delle mete, di raggiungerle e di essere felici del successo degli altri; di mantenere pulito il loro ambiente, di contribuire alla pace nel mondo, di vivere onestamente senza mai farsi corrompere; di accendere la lampada della conoscenza e fare del loro meglio per contribuire alla visione dell’India”.

QUALI LE RAGIONI?

Dove si trovano le cose che contano?

Don Antonio Mazzi

I fatti della vita ci obbligano di tanto in tanto a frenare sui nostri pensieri.
Troppo facile premere sul pedale della tragedia, o invocare l’aiuto dello psichiatra o, peggio ancora, fare dell’umorismo in attesa di giorni migliori.
In questi tempi, sembrano stravolgersi certezze e speranze, fino a ieri radicate profondamente nella storia della gente.
Istinti selvatici e mostruosi piombano sulle nostre case come cicloni e terremoti apocalittici, seppellendo in pochi secondi tenerezze, emozioni, ragionamenti, amicizie, amori, sicurezze.
Mentre stavamo ricostruendo con grande impegno le nostre città devastate dalla guerra e in preda alla povertà, non ci siamo accorti che il vecchio equivoco, nato attorno alla biblica torre di Babele, si riproponeva con accento ancora più tragico.
Allora furono le lingue a non essere comprese, oggi sono le politiche, gli egoismi, le sopraffazioni, le aggressività, le solitudini, ad alzare mura altissime tra uomo e uomo.
Evitiamo atteggiamenti teatrali e letture solo patologiche dei fatti! Recuperiamo il timone perché la tempesta si palpa e l’uragano si fiuta. Gli errori più gravi li abbiamo fatti travisando la quotidianità
Abbiamo seminato nel vento, e stiamo raccogliendo nella tempesta.
Fino all’altro ieri, la vita, da sola, era più che sufficiente per dare gusto alle vicende umane, perché era: semplicità, affetti famigliari, parsimonia, fatica domestica, lavoro agricolo, sacrificio, fede, patria.
Pensavamo d’aver scacciato dai nostri cuori le ombre malefiche dei caini, affascinati dalla voglia di pace e giustizia. Invece nella baraonda della nuova Babele l’aggressività e la morte sono tornate a turbare i nostri sogni, a cavalcare i nostri relitti.
Battersi il petto oggi serve a poco. Abbiamo sbagliato ma il tempo c’è per riparare e per rinascere.
È nel terminale di noi adulti il virus mortale. La vita è ricerca di liberazioni, di risposte nascoste dietro il sudore di fatiche subito credute inutili e sconfitte lancinanti secondo noi ingiuste. Non è emissione di banconote, inseguimento dissennato ai piaceri, bellezza a qualsiasi costo, come abbiamo fatto intendere a noi stessi.
Dobbiamo tornare a rimettere la solitudine, il dolore, le regole, l’ascetica prima nella nostra vita, per essere credibili quando le proporremo dentro la vita dei nostri figli.
Scambiare la famiglia come il luogo dove si depositano i panni sporchi e le giornate come coloratissime sequenze televisive, è l’altro grande errore che ha disorientato i nostri giovani.
Il dramma non è solo l’elaborazione paranoica delle morti dei padri, ma la certosina e macerante autoeliminazione di ogni brandello di serenità che i nostri figli vanno progettando, tra il silenzio attonito della società distratta.
Una paraboletta ebrea, narra:
“C’era una volta uno stolto così insensato che era chiamato Golem (stupido). Quando si alzava al mattino gli riusciva così difficile ritrovare gli abiti che alla sera, al solo pensiero, spesso aveva paura di andare a dormire.
Finalmente una sera si fece coraggio, impugnò una matita e un foglietto, e spogliandosi, annotò dove posava ogni capo di vestiario.
Il mattino seguente, si alzò tutto contento e prese la sua lista. Il berretto: là, e se lo mise in testa. I pantaloni: lì, e se li infilò; e così via fino a che ebbe indossato tutto. Finita la fatica, sentì all’improvviso salire dentro di se una domanda: Si, ma io dove sono rimasto?”.
Noi adulti abbiamo insegnato ai nostri figli tantissime cose, li abbiamo ricoperti di indumenti bellissimi. Abbiamo insegnato loro dove si trovano: le scarpe, i telefonini, i motorini, i titoli di studio, le pizzerie, i luoghi di villeggiatura, gli amori stagionali, l’informatica, i bancomat.
Purtroppo non abbiamo insegnato loro le cose più faticose, importanti, necessarie: dove sta il dolore, la pazienza, la gioia, la fede, la serenità.
Abbiamo insegnato loro ad attingere l’acqua ai pozzi artificiali, e non a quei pozzi profondi scavati nella roccia, dentro ai quali si trovano le sole acque che dissetano l’anima.

Creare una cultura dell’inclusione

Eva Adela Latham
Ambasciatrice di Pace

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e la Carta delle Nazioni Unite hanno entrambe lo stesso fine: la realizzazione della pace. Il senso fondamentale della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani consiste nella esaltazione della dignità di ogni essere umano, ed in quanto tale dei suoi diritti morali. Essa incarna il principio dell’uguaglianza, che è riconosciuto dalla legge naturale. L’Articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite afferma che uno degli scopi dell’ONU consiste nel realizzare la cooperazione internazionale volta a “promuovere ed incoraggiare il rispetto per i Diritti Umani e per le libertà fondamentali per tutti, senza distinzione alcuna”. Il pensiero fondamentale dietro la Carta è che la pace e la stabilità tra le nazioni possono essere raggiunte nel modo migliore percorrendo questa strada.
Quale esperta nel campo dei diritti umani, riconosciuta dall’UNESCO, cerco con tutte le mie forze, e con i miei metodi, di applicare la nozione di dignità umana per tutti. So quanto sia stato difficile nel corso della storia – e quanto ancora lo sia – trasporre l’essenza del messaggio dei diritti umani dalla teoria alla pratica, che tutte le persone sono create eguali per quanto riguarda la loro dignità, e che tutti sono membri dell’unica famiglia umana, indipendentemente dalla loro cultura, religione, nazionalità, genere e lingua, così come affermato nell’Articolo 2.1 della Dichiarazione Universale.
Tuttavia, troppe persone hanno elaborato delle false giustificazioni per escludere gli altri dalla dignità umana. Vedo ogni giorno il modo in cui la gente si autolimita nella propria visione nazionalista, nei propri circoli religiosi, nelle proprie norme e nei propri valori culturali, nei concetti di superiorità di genere o di colore, o di origine sociale, con il vergognoso risultato di escludere gli altri.

Questa “filosofia” dell’esclusione è la base di problemi minimi e massimi in luoghi grandi e piccoli in tutto il mondo. Questo pensiero è ciò che ha dato forma al nostro mondo, e che ancora continua a dargli forma. Esempi contemporanei del risultato di questi comportamento sono il Ruanda, la ex Iugoslavia, la Repubblica Democratica del Congo, l’Afghanistan, l’Irak, il Sudan, e le continue atrocità che avvengono nel Medio Oriente. Ma anche nelle “società senza guerra” si può osservare l’abuso delle differenze religiose e culturali, e l’astuto sfruttamento delle stesse, a fini di vantaggio personale o al fine di raggiungere o mantenere il potere politico.

A fronte di così tanti esempi della predominanza della filosofia dell’esclusione, è straordinario venire a conoscenza del “controesempio” fornito dalla UPF, fondata dal Rev. Dr. Sun Myung Moon. In pochi anni la UPF è cresciuta fino a diventare un movimento che opera in tutto il mondo e che con grande successo mobilita la gente perché realizzi una pace duratura sulla base del pensiero dell’inclusione.
La UPF sta mettendo in pratica una visione, e la sta applicando ad un percorso sostanziale, riuscendo a riunire leader non solo religiosi ma anche politici, e persone comuni che operano in mille settori diversi della società. Attraverso la UPF queste persone hanno trovato l’ispirazione per superare i propri limiti nazionali, religiosi, etnici e sociali, e per dichiararsi incondizionatamente membri dell’unica famiglia umana. Questa è la migliore applicazione pratica del pensiero dell’inclusione. E’ l’idea di base della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che diviene realtà.
Ciò che mi colpisce è che tutte queste attività si sviluppano senza alcuna burocrazia, e senza un elevato grado di istituzionalizzazione formale, ed anche al di fuori dei modelli tradizionali delle filosofie orientate alla pace. I risultati positivi di tutto ciò può essere visto da tutti, e merita davvero rispetto.

La missione della UPF è oggi più necessaria che mai, perché in questo mondo che va verso la globalizzazione sulla base della tecnologia, gli esseri umani sono più consapevoli l’uno dell’altro. Ciò ci fornisce grandi vantaggi rispetto al passato, ma allo stesso tempo ci rende più vulnerabili se non cambiamo la nostra mentalità in modo tale da riuscire a vedere ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide.
Per far sì che il mondo passi al prossimo stadio di civiltà, che consiste nella liberazione degli uomini dal timore reciproco, c’è bisogno di persone impegnate, coraggiose e credibili. Il Dr. Moon, e coloro che operano con la UPF, sono proprio questo tipo di persone. Con i principi della UPF, “Vivere per il bene degli altri”, e “Vivere senza frontiere”, la UPF sta mettendo in pratica lo spirito autentico del Preambolo e dell’Articolo 2.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani in modo assolutamente originale e, soprattutto, credibile.
________________________________________
La D.ssa Eva Adela Latham è presidente di Human Rights Teaching International in Olanda. Ha ricevuto il premio UNESCO per l’insegnamento dei diritti umani nel 1990, assieme a Václav Havel, presidente della Repubblica Ceca.