1 febbraio 2007

Individuare un centro morale per la famiglia delle nazioni

di Jorge Guldenzoph

Sin dalla sua fondazione, il più importante organo consultivo al mondo, le Nazioni unite, è stato “moralmente zoppo” a causa della esclusione, al momento della sua fondazione, delle religioni intese quali agenti attivi. A motivo di ciò, è doppiamente significativo che nel dicembre del 2006, l’Assemblea generale abbia approvato una risoluzione sulla “promozione del dialogo interreligioso ed interculturale, della comprensione reciproca e della cooperazione per la pace”. La risoluzione esortava le Nazioni Unite, i suoi organi, ed il Segretario generale, ad intensificare gli sforzi volti a sostanzializzare le decisioni già adottate in risoluzioni similari; esse, in modo specifico, promuovevano il dialogo interreligioso con il supporto della Assemblea generale, con il Segretario generale che avrebbe dovuto prendere responsabilità per l’organizzazione e la continuità del dialogo.

Anche se questa risoluzione è un passo nella giusta direzione, non è ancora sufficiente, e riflette le difficoltà che l’ONU ha nel realizzare quel tipo di riforma integrale che gli permetterebbe di svolgere il suo vero ruolo. In effetti, questa nuova risoluzione è un’altra pietra miliare sulla strada che le Filippine hanno cominciato a percorrere anni fa, nello sforzo di costituire un consiglio interreligioso che incanalasse gli sforzi delle religioni verso la cooperazione, all’interno dell’ONU, per promuovere la causa della pace. L’ispirazione e la spinta dietro questa iniziativa deriva dai leaders di quel Paese quali il Presidente Gloria Macapagal Arroyo, il Portavoce della Camera José de Venecia, e l’ambasciatore permanente alle Nazioni Unite, Lauro Baja.

Il 10 novembre del 2004, le Filippine hanno proposto la formazione di un gruppo di lavoro al fine di studiare il modo in cui esse potessero portare un contributo nel contesto dell’ONU. Alla fine dei lavori, le Filippine dichiararono di essere convinte che per costruire una cultura di pace è necessario utilizzare al massimo il potenziale del dialogo interreligioso e della cooperazione. Queste idee non sono nuove, ma nella realtà non hanno mai trovato il loro posto al tavolo della politica internazionale sin dalla fondazione delle Nazioni Unite.
Uno sguardo al passato
Alla fine della Seconda Guerra mondiale, il mondo fu travolto da un’ondata di idealismo: la religione, ed in particolare il cristianesimo, esercitava una forte influenza, ed un’altra potente forza stava emergendo: quella dell’ecumenismo. Il Mahatma Gandhi insegnava che tutti gli esseri umani dovrebbero amarsi, indipendentemente dalla religione professata, ed invitava all’unità di tutti i credenti; dopo secoli dalla Diaspora, gli ebrei cominciavano a riaggregarsi; e la famiglia, così come i valori famigliari, erano considerati estremamente importanti.
Il 25 aprile 1945 i delegati di 50 nazioni si incontrarono alla Conferenza delle Nazioni Unite sulle Organizzazioni internazionali, dando l’avvio a mesi di lavoro dai quali scaturì la Carta di fondazione delle Nazioni Unite. I delegati degli Stati Uniti e delle nazioni europee dovettero fare molte concessioni, e molto importanti, per far sì che una nazione atea e totalitaria quale l’URSS, decidesse di unirsi agli sforzi comuni.

Anche se le concessioni più note erano relative al sistema di votazione e di suddivisione dei poteri, un’altra concessione, meno pubblicizzata, fu ancora più importante: la religione e Dio quale fonte dei diritti umani, così come affermato nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776, furono lasciati fuori.

Nel fare queste importanti concessioni, i delegati ignorarono le lezioni di molti persone di grande saggezza e di molti studiosi, alcuni dei quali avevano scritto in merito dei testi che possiamo definire profetici. Ad esempio, lo statista canadese Lester Pearson, che avrebbe vinto il premio Nobel per la pace nel 1957, scriveva due anni prima di tale data che l’umanità stava entrando in un’era “nella quale le varie civiltà avrebbero appreso a vivere fianco a fianco, ingaggiando degli scambi pacifici, imparando l’una dalle altre, studiando ognuna gli ideali, la storia, l’arte e la cultura delle altre, arricchendo così reciprocamente la vita degli uomini. L’unica alternativa a questa visione, in questo piccolo e sovraffollato mondo, è l’incomprensione, la tensione, lo scontro ed infine la catastrofe”.

Il Dr. Lee Edwards ha osservato, in un saggio più recente, “La fine della guerra fredda”: “Sin dall’inizio le Nazioni Unite sono state essenzialmente una organizzazione politica di stati-nazione, e solo sporadicamente hanno affrontato i temi sociali che sono necessari per la costruzione di ponti permanenti tra i popoli di diverse culture”.

Sono trascorsi 60 anni dall’esclusione della religione dai documenti di fondazione dell’ONU. Durante tutto questo periodo, le religioni sono rimaste lontane dalle Nazioni Unite, a motivo della visione estremamente secolarizzata che divenne predominante nei governi occidentali e nelle élite dell’informazione e della cultura. Il termine cultura fu ridotto ad indicare le espressioni artistiche, senza prendere in considerazione il profondo e storico significato del termine, che è legato a religioni e filosofie e valori universali, di natura sia spirituale che etica. A motivo di questo pregiudizio, è importante ricordare che tutte le civiltà esistenti hanno avuto la loro origine in una religione o filosofia di natura trascendente.
Dopo la Guerra Fredda e l’11 settembre
Dopo la Guerra Fredda, si sviluppò l’approccio “volontaristico” volto alla creazione di un nuovo ordine internazionale. L’umanità cominciò a pensare che il nuovo mondo si sarebbe potuto ottenere applicando le conoscenze della scienza, della politica e dell’economia; tutti questi settori della conoscenza umana, però, consideravano e considerano la spiritualità dell’uomo come superata ed irrilevante. Il grande entusiasmo generato da questo approccio, anche se durò solo pochi anni, contribuì alla comparsa di una ondata di edonismo e di individualismo, che si estese dalla famiglia fino al livello internazionale.

Oggi, le Nazioni Unite e la possibilità di una governance globale sono ad un punto critico. Ci stiamo rapidamente avvicinando ad un punto critico, ad un abisso senza fondo, al crollo della società nel caos. E’ evidente che le nazioni non sono state in grado di unire i loro sforzi per risolvere la vasta gamma di problemi urgenti di fronte ai quali ci troviamo. Tra di essi vi è la decadenza morale, che deriva dalla crisi della famiglia e dell’istruzione, dalla fame e dalla povertà di milioni di persone in tutto il mondo, dalla perdita, da parte della gente, della fiducia nei loro rappresentanti e nelle istituzioni democratiche, dall’aumento dei conflitti etnici e religiosi, dall’aumento del timore dell’uso di armi di distruzioni di massa da un terrorismo che osa giustificare il proprio odio in termini religiosi, e nella continua e dilagante degradazione dell’ambiente.
L’attacco terroristico dell’11 settembre ha cambiato la visione che i leader del mondo, specialmente di quelli occidentali, avevano rispetto alla religione. Alvin Toffler afferma che “La prima guerra afghana del 21° secolo ha portato a pieno titolo la religione all’ordine del giorno a livello mondiale”. Molti leaders politici riconoscono di aver dovuto affrontare un fenomeno che non conoscevano o che comunque erano impreparati a gestire.
La presenza cruciale della religione nel contesto mondiale, che iniziò ad essere riconosciuta dopo la fine del comunismo, è diventata più evidente (almeno per i mezzi di informazione) a seguito delle terribili azioni compiute nel nome di Dio. Molti di coloro che hanno seguito l’ideale del nuovo ordine mondiale materialistico ne hanno concluso che la soluzione è quella di ridurre il ruolo della religione nella società e negli affari. Così vediamo che l’iniziativa della “Alleanza di Civiltà” [vedi “Can the Alliance of Civilizations Advance UN Reform?” W&I:IAP, Winter 2006, p 28] si è allontanata dall’argomento religione. Un commentatore di questo fenomeno è Antonio Elorza, un importante giornalista del quotidiano El Pais. Egli scrive: “Una delle conseguenze del progetto sarà naturalmente il fatto che la relativizzazione del ruolo della religione nella vita delle società costituirà forse il miglior mezzo per favorire l’incontro delle civiltà”.
Operando separatamente dall’ONU, le religioni del mondo hanno risposto mettendo l’accento sul dialogo, la cooperazione, e l’individuazione delle opere, dei valori spirituali e delle virtù che esse hanno in comune. Ad esempio, il rabbino capo degli ebrei Ashkenazi israeliani, Yonah Metzger, ha riaffermato la necessità di un Consiglio Mondiale delle Religioni che promuova la collaborazione interreligiosa nella risoluzione di problemi concreti. Molti altri leaders religiosi stanno promuovendo una collaborazione interreligiosa a livello globale.
Segnali di una crescente consapevolezza
Dopo decenni di oblio, stanno emergendo almeno quattro idee in merito al ruolo della religione nell’arena politica internazionale:
• I problemi del mondo, tra i quali l’assenza di pace, hanno una radice spirituale ed etica. Come dice il preambolo della Carta di fondazione dell’UNESCO (1946), la guerra nasce dalla mente umana.
• Le misure politiche ed economiche non sono sufficienti; devono essere complementate da un risanamento morale e spirituale. In questo mondo di ferite e di risentimenti, è necessario che venga più ampiamente apprezzato il valore dell’insegnamento di Gesù: “Amate i vostri nemici”.
• La dimensione secolare e quella religiosa devono cooperare per affrontare i problemi da tutte le prospettive della natura e delle azioni umane.
• Il dialogo e l’armonia tra le religioni sono assolutamente indispensabili per creare la pace.
Un’ulteriore riflessione è che la partecipazione delle religioni nell’ONU non deve essere periferica e secondaria. Al contrario, la loro partecipazione deve essere ad un livello appropriato al loro ruolo precedentemente ignorato ed oggi estremamente importante. Le religioni dovranno far parte dell’ONU non per il proprio beneficio, ma per servire ed aiutare i leader del mondo nella realizzazione delle loro responsabilità.
Ricordo le parole di Giovanni Paolo II durante la sua visita all’ONU, il 5 ottobre del 1995, dove affermò: “Le Nazioni Unite devono superare il freddo status di istituto amministrativo e diventare il centro morale nel quale tutte le nazioni del mondo si sentano a casa, e sviluppino la consapevolezza condivisa di essere una famiglia di nazioni”.
Con in mente la risoluzione adottata in merito alla promozione del dialogo interreligioso ed interculturale, della comprensione reciproca, e della cooperazione per la pace, possiamo sperare e lavorare per far sì che la stessa diventi un grande passo in avanti al fine di rendere le Nazioni Unite un centro morale per la famiglia delle nazioni.________________________________________
Jorge Guldenzoph è Segretario Generale della UPF dell’Uruguay.

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